Francesca Calliari

LatinoAmericando…

2013, un anno Latino Americano al 50% e Peruviano al 25% fino a questo momento.

Ebbene sì, per me quest’anno Perù non ha voluto dire soltanto campo della Lega Missionaria Studenti, ha voluto dire crescita, raggiungimento di obiettivi, conclusione di una tappa della mia vita e apertura a nuove esperienze, ha voluto dire bambini tanto quanto conoscenza e istituzioni, insomma ha voluto dire VITA.

Quando a febbraio ho comprato quel biglietto per tre mesi in Sudamerica non avrei mai sperato che la mia vita e la mia consapevolezza cambiassero così tanto.

Mi sono ritrovata da sola, zaino in spalle a confrontarmi con culture totalmente differenti dalla mia ma che, dopo 7 anni di campi in Perù, riconosco più mie di quella occidentale; mi sono ritrovata a preferire le persone del posto piuttosto che a condividere con gli stranieri che stavano facendo la mia stessa esperienza, insomma, senza dubbio un viaggio di laurea fuori dal normale.

E così tra un Brasile che gia conoscevo, l’avventura Boliviana e il mese nella mia casa Peruviana ho imparato ad ascoltarmi e a crescere.

Il mese di aprile l’ho passato a vivermi il Caef come da anni non facevo per via del mio ruolo da responsabile durante il campo.

Ho provato l’emozione di vivere a stretto contatto con i bambini, tutti i giorni, come una delle educatrici che ci lavorano tutto l’anno.

E questo vuol dire turni di notte, imprevisti, assistere e accogliere con Judith i casi nuovi che la polizia ti porta anche di notte di bambini impauriti e in lacrime che vorrebbero solo la loro mamma, ma vuol dire anche e soprattutto tante, tantissime soddisfazioni, dal vederli crescere a vedere i loro avanzamenti e miglioramenti nella scuola come nelle cose del quotidiano, grazie magari anche a cose che gli insegni tu.

Ed è li che capisci l’importanza di guardarli, sederti accanto a loro, starli ad ascoltare e parlargli con il cuore; sono assetati di conoscenza e di amore e tutto quello che devi fare è dargli attenzioni.

La difficoltà sta che nello stesso momento dovresti stare ad ascoltare almeno 10 bambini, per non dire 20, perché tutti hanno gli stessi bisogni anche se tu sei solo uno.

È stato un mese ricco di emozioni, in cui mi sono goduta a pieno quei 20 tornadi. È stato bello condividere tutte le mie giornate con loro, dal momento in cui mi tiravano giù dal letto dalle grida nella camera di fianco fino al momento in cui erano tutti attenti alla favola della buonanotte che gli leggevo.

Ma è stato proprio questo mese che mi ha fatto capire il bisogno del gruppo, di essere inserita in qualcosa che va al di la di me, l’importanza di avere qualcuno con cui condividere e con cui confrontarsi ogni giorno, perché è vero che è difficile andare d’accordo con 20 persone e convivere tutti nello stesso spazio, ma è ancora più difficile essere l’unica volontaria in mezzo ad una equipe di lavoratori.

È senza dubbio questo che, una volta tornata in Italia a maggio, mi ha spinto a decidere e riconfermare la mia partenza con il gruppo di volontari ad agosto.

Sin dall’inizio sapevo che sarebbe stata un’altra esperienza per nulla facile in quanto avrei nuovamente dovuto ricoprire il ruolo di responsabile insieme ad altri due veterani; insomma l’ennesima sfida che mi sono auto lanciata.

Quindi dopo un weekend di formazione in cui ho iniziato a imparare a conoscere i nuovi volontari, siamo partiti per questa nuova avventura, diversa, diversissima da quella che avevo fatto tre mesi prima.

Mi sono ritrovata per un mese a girare come una trottola per fare in modo che tutto funzionasse, ad andare in giro in camicia (cosa per me impensabile fino a quel momento in Perù) per incontrare sindaci, consiglieri e rappresentanti di istituzioni, insomma tutto tranne che sporcarmi le mani e star dietro ai bambini.

Ho passato un mese a vedere gli altri a giocare e a distruggersi pur di far felici i bambini, a vederli vivere un Caef in maniera tanto spensierata quanto indispensabile e necessaria, dato che finalmente si aveva l’occasione di avere un rapporto uno  ad uno tra i volontari e i bambini.

Inutile negare la sana invidia per quei giochi, quelle facce sporche di tempere e per il sudore dopo una giornata di lavoro a tagliare canne e a ridipingere e sistemare tutto; ma il mio ruolo era diverso ed era compreso nel pacchetto già prima della partenza e nessuno me l’aveva mai nascosto.

Strano ma bello sentire le condivisioni degli altri sul lavoro fatto con i bambini, le emozioni ed i sorrisi per poi io condividere le visite in università o ad un ministero.

Questo mi ha fatto capire che anche per me era finito il tempo dei giochi, che era più che giusto che come un tempo l’avevo fatto io ora toccava ai nuovi strapazzarsi i bambini; per me, o meglio, per noi veterani, spettava il compito più difficile di inserire il Caef in una rete di istituzioni più grande e pensare al suo futuro avendo fatto parte del suo passato.

Ovviamente questo costa sacrifici, ma come tutti i sacrifici che si fanno per qualcosa in cui si crede questi portano alle soddisfazioni più belle, come l’essere riconosciuta tanto una di casa al punto di ricevere le chiavi per aprire la porta del Caef o esser scelta per la seconda volta per fare da madrina a una bimba o anche conquistare la fiducia di chi è lì per la prima volta.

Insomma un sacco di cose mi hanno fatto vivere a pieno il Perù quest’anno e la cosa più bella è la consapevolezza che finalmente Italia e Perù stanno iniziando a parlare la stessa lingua, che non esiste più un divario tra le culture incolmabile e che si sta lavorando tutti per un unico obiettivo: il futuro dei bambini e quindi del Paese.

Questa è la gioia più grande che mi porto in Italia quest’anno e con questo la volontà di continuare ad impegnarmi per questo progetto, per queste persone e per quei bambini.

Francesca Calliari

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