"Che Gesù muore lo leggi nel Vangelo ma che è risorto lo leggo nei vostri occhi!"
Terzo anno. Tutto fa pensare che ciò che si ritroverà è un Perù ormai conosciuto, di cui apprezzi le gioie e le bellezze e combatti i dolori. Niente di più sbagliato!
Sin dal primo giorno ti accorgi che è solo un'illusione e che ogni anno impari e scopri tante differenze che forse prima non c'erano o che non avevi notato. Anche il gruppo quest'anno è diverso: per la prima volta non è accompagnato da PC (p. Cambiaso) e San Saba non è più un punto dove incontri le persone con cui condividerai un mese ma è già luogo di un secondo ritrovo per molti di noi. Infatti, quest'anno il gruppo è stato accolto e preparato durante un week-end di maggio in Sardegna dove ha potuto conoscersi, lavorare, condividere le paure e le speranze di questa avventura. E' così che è iniziata la nostra storia: h 19.00 tutti a San Saba per preparare le valigie con le donazioni e poi cenare tutti insieme. Una notte è volata e siamo già sull'aereo per Lima; ad accoglierci il suo tipico grigiore. Anche qui nuove scoperte: non più la processione con P. Chiqui a El Augustino o la visita a Colo Norte ma abbiamo avuto l'opportunità di rincontrare Oscar Vasquez e visitare la sede di RedEncuentros, ente che si occupa di giustizia restaurativa giovanile ed opera in molte città peruviane. Abbiamo anche avuto l'occasione di partecipare all'ordinazione di un giovane gesuita, amico di p. Renato Colizzi s.j. che ci ha seguiti quest'anno, e visitare la chiesa di San Pedro ispirata alla chiesa del Gesù di Roma.
Dopo tre giorni eccomi di nuovo su quel autobus che mi porta a Trujillo. Dieci ore di viaggio in cui far ordine dentro e porsi delle domande sul perché ogni anno si ritorna in questo paese. Ma le risposte appaiono chiare solo nei giorni in cui arrivi al CAEF e inizi a lavorare. Anche qui tante novità: non sei più un "soldato semplice" ma ormai vieni vista come un punto di riferimento sia dai volontari che dagli stessi operatori. Questo può apparire motivo di orgoglio; ma a chi, come me, piace stare con i bambini nelle classi, risulta all'inizio un piccolo ostacolo.Primo giorno: il gruppo si prepara ad organizzarsi e dividersi in gruppi di lavoro. Solo allora ti rendi conto che non sei in nessuna classe, che a Torres e Taquila non sei inserita nei gruppi e allora immagini le tue giornate tra una riunione e l'altra, nel sistemare i problemi, nel vivere gli impegni di casa lottando per lasciare i pensieri "italiani" lontani, per non farti travolgere dalle paure e dai fantasmi che speravi di abbandonare 10.000 Km distanti da te. L'inizio è duro, le paure sembrano trasformate in realtà e si fa fatica. I bambini ora sono presenti 24H al CAEF e molti di loro non li conosciamo. Le riunioni e i problemi da gestire sono tanti e spesso appaiono così grandi da sentirsi davvero incapaci di donare anche un piccolo gesto. Ma come al solito il Perù non ti permette di abbandonarti a facili demotivazioni e così, in un giorno qualunque in cui credi di poter sgattaiolare dal CAEF per andare a giocare a Torres, un villaggio dove i bambini ti avvolgono in caldi abbracci, ti appare davanti un'immagine raccapricciante: il solito politico che regala pane e cioccolata con in mezzo un bel biglietto da visita. Sono queste le immagini che ti arrivano dritte alla pancia e ti permettono di spogliarti di tutto e dire: "facciamo in modo che questi 20 giorni non siano solo momenti di gioco per questi bambini". Nascono così le lezioni per scoprire che ognuno di noi può inventare storie, elaborare progetti ed essere costruttore di giochi da poter utilizzare anche quando "gli italiani" non ci saranno. Le riunioni ci sono e sono a volte dure ma nasce in me il desiderio di cambiare realmente il modo di viverle e di gestirle, cercando di essere produttiva e di costruire obiettivi reali. Partecipo ai giochi, alle uscite nei villaggi, all'organizzazione delle classi, all'incontro coi gesuiti di Trujillo, mi ritaglio quello spazio personale in cui pregare sugli spunti che Renato ci da ogni mattina e "tirare così il freno a mano" durante le corse della giornata. Piano piano nasce in me il coraggio di non nascondermi dietro i problemi ma affrontarli con umiltà e soprattutto con l'aiuto di tutti; è questo ciò che rende magico anche il più piccolo gesto: la forza del gruppo che si stringe a te nei momenti di difficoltà, gioisce durante la preparazione della festa dei 15 anni del CAEF, prega nei luoghi più impensabili e condivide nel silenzio i sentimenti più profondi. E allora non ti spaventa più alzarti ogni mattina per costruire una piccola speranza, lavare migliaia di piatti, cucinare per tante persone, sgridare i bimbi quando non si comportano bene, affrontare le durezze di alcuni genitori, vedere i politici che cercano di accattivare le tue simpatie, soffrire nel vedere tante piccole mani intorno a te per una manciata di patatine durante la festa finale del campo. Ti ricordi di quella frase di Nietzsche che tanto ti turbò e ti fece arrabbiare durante un momento di preghiera: "...che Gesù è risorto lo leggi nel Vangelo, che non è risorto lo leggo nei vostri occhi."; però poi ripensi a tutto il mese che hai trascorso a Trujillo, ai tre anni in cui hai lavorato per questo progetto, all'incontro con Judith e il CAEF che non è diventata solo la tua casa ma ha proprio stravolto il modo di guardare alla vita e allora sei orgogliosa di poter riflettere su quella frase, pensare di farla tua e di trasformarla così: "che Gesù muore lo leggi nel Vangelo ma che è risorto lo leggo nei vostri occhi!".