Stefania Veltri

And this must be the place!

E’ difficile descrivere l’esperienza del mio campo in Perù e trovare le parole adatte alla moltitudine ed alla profondità delle emozioni vissute, tuttora vive nel mio cuore; il groviglio di odori, immagini, i suoni impressi nella mia mente…

Premetto che questa esperienza si colloca in un momento della mia vita di grandi scelte… infatti al termine di una intensissima carriera universitaria che mi ha portato a diventare neuropsichiatra infantile, mi ritrovo di fronte a radicali cambiamenti nella mia,vita e ad una serie scelte da fare. Tutto è rimesso in discussione e l’inquietudine diventa una compagna di viaggio.

Decido, quindi, di fare questa esperienza e dedicare le mie vacanze ai bambini del CAEF, per ritrovare un contatto con l’altro da cui, nella mia frenetica routine, mi sentivo ormai alienata.

Il mio Perù inizia nel Cono Sur di Lima dove i miei occhi hanno toccato la povertà estrema, il degrado e le contraddizioni di una città in cui, a breve distanza cammini tra grattacieli, villette e cartelloni pubblicitari che, come nelle nostre città, invitano a curare l’ immagine, il benessere, e a far girare una economia da cui milioni di uomini e donne in questo Paese, e nel mondo sono esclusi. Qui senti che esistono due umanità apparentemente inconciliabili, le percepisci con ogni senso.

Per meno di un attimo mi sembra di essere in TV, ma è tutto così vivo e reale ed io… Sono lì, in una scena che comodamente seduta a casa, ho visto tante volte, ma questa volta anche io cammino tra i rifiuti, nel fango, tra i cani randagi (una costante di tutti i paesaggi peruviani che ricordo) e tra migliaia di case in argilla e lamiera. A rendere tutto più pesante è la spessissima cappa di umidità che copre costantemente il cielo di Lima, che ti incolla a terra anche il cuore e la mente bloccandoti, mentre la vita ti investe. Dolore, rabbia, senso di colpa, poi ancora rabbia e dolore, fino all’incontro con Maruca.

In questa periferia dell’umanità, Maruca ci accoglie con un sorriso disarmante e ci racconta la sua esperienza che continua da 30 anni, durante i quali, ogni giorno, nella sua piccola scuola aiuta centinaia di bambini a poter desiderare un futuro, tramite il supporto all’istruzione, perché solo lo sviluppo di una coscienza personale ed il senso critico restituiscono la dignità e la speranza all’uomo...anche in un deserto. Le sue parole bruciano come un terribile monito ma, allo stesso tempo ,un invito irresistibile.

Il secondo incontro indimenticabile è stato con P. Chiqui, che nel quartiere El Augustin di Lima, ogni giorno lavora per il recupero di centinaia di ragazzi dalle bandillas, proponendo come alternativa al furto e allo spaccio, una scommessa su stessi, in cui, anche qui, la posta in gioco è la conquista della dignità di uomini e donne, tramite l’istruzione, il calcio, la musica. Chiqui ci spiega la teoria dei 3 cerchi: per rendere l’uomo uomo è necessario restituirgli la dignità, solo dopo si possono condividere i valori, e infine arrivare a Dio. Anche queste parole colpiscono direttamente e senza riserva, sia me che i miei compagni di viaggio, e ci hanno accompagnato costantemente nelle nostre riflessioni durante tutto il campo come punto da cui partire e traguardo a cui arrivare.

Dopo questo impatto intenso ed improvviso è arrivato il momento di incontrare i niños del CAEF e rendere vive le parole ascoltate!

Nella casa di Tuty, da subito mi sono sentita a casa e anche io custode di questi cuccioli, con le loro storie tormentate, la loro estrema delicatezza, le loro paure ed i loro silenzi che ho cercato di accogliere e condividere; inoltre la loro dolcezza e la loro spontaneità hanno reso molto naturale il dialogo, malgrado le difficoltà per la lingua e la riservatezza che mi caratterizza.

E’ stato meraviglioso coccolare J., fare il caballito con Y., trasformare il broncio di Y. in un dolcissimo sorriso, giocare a calcio con A. (non ho mai capito dove fossero le sue batterie!!!), aiutare L. a giocare con gli altri bambini o E. a fare i compiti e, per me che sono un medico, uscire dal mio ruolo o meglio renderlo parte della mia persona e farne dono a questa piccola comunità.

La condivisione di questa esperienza col gruppo è stata per me un elemento essenziale del campo, una sorgente da cui attingere e da alimentare. Condividere è stato incontrare nuovi amici, conoscere nuove storie, confrontarsi con nuovi modi di vivere, di vedere il mondo ed imparare un po’ da tutti, regalare e ricevere tantissimi abbracci! Ascoltare il vissuto dei miei compagni, condividere le loro gioie e le loro fragilità, mi ha aiutato tantissimo a catturare sfumature che sono entrate a far parte della mia esperienza, a vincere le mie paure e superare i miei limiti.

Condividere è stato progettare insieme le attività da organizzare per i nostri piccoli amici, lavorare insieme, giocare insieme, rispettare reciprocamente i tempi e gli spazi di tutti e…di Tuty! Condividere è stato uscire fuori da me stessa e sentirmi membra di un corpo.

Fondamentale, in quest’ottica, è stato il tempo dedicato alla preghiera, il Kairos, cioè il tempo di Dio che mi ha permesso di tracciare un continuum tra il prima, il qui ed ora ed il futuro, e di ritrovare quello che, nella corsa affannosa delle mie giornate avevo perso. Infatti, senza che me ne rendessi conto, in questo mese, l’inquietudine ha lasciato il posto ad una tranquillità che tuttora porto dentro di me, e ad una nuova voglia di fare, più consapevole, gioiosa ed attenta. Come Cheyenne, protagonista del fantastico di Sorrentino “This must be the place”, alla fine del viaggio ritrovo me stessa.

La nostalgia è tanta, ma ora tra le mie migliaia di impegni c’è un tempo ed uno spazio da dedicare quello che ora sento come un progetto anche mio, e questo mi fa sentire vicina a tutti i miei nuovi piccoli e grandi amici. Il mio Perù non è mai finito o meglio è solo un inizio.

 


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