Rachele Totolo

Agosto 2022

- Titti: “L’anno prossimo si riparte dopo anni di fermo, perché non vieni anche tu?”

- Rachele: “Sarebbe bellissimo ma è impossibile già te lo dico, un mese, il lavoro, il fidanzato.. non è fattibile Titti, rimarrà un bel sogno”.

Febbraio 2023

-          Rachele: “Titti ho deciso, il fidanzato non c’è più, al lavoro do il preavviso per il licenziamento e niente, dimmi cosa devo fare per partire con voi”.

I mesi antecedenti alla data di partenza si sono rivelati in assoluto i mesi più lunghi e infiniti dei miei “primi” 32 anni. Mesi di attese, mesi di domande senza risposte, mesi di “sarò in grado?”, mesi di “avrò fatto la scelta giusta?”, mesi di “dai Titti raccontami, cosa mi aspetta nello specifico?”.

Ma niente, Titti non sembrava dare retta a tutto ciò, le mie domande non ricevettero risposte, nessuna anticipazione, nessuna confidenza particolare, niente di niente, l’unica frase fu: “quando sarai la, lo capirai tu stessa senza che io ti dica niente”.

Rassegnata, accettai, e decisi di provare a vivere l’attesa in maniera più tranquilla, senza aspettative ma “solo” con un grande entusiasmo ed un’immensa gratitudine per l’opportunità che mi era stata donata.

Il giorno della partenza non stavo nella pelle, mi sentivo come una bambina il giorno prima dell’arrivo di Santa Lucia, che bello mi dissi tra me e me “finalmente sto coronando il MIO sogno, un sogno dettato dall’esigenza di tornare a sentirmi viva e si, ora ne sono certa, non avrei potuto fare scelta migliore”.

Nel giro di niente, (per la verità furono “solo” 3 lungi e interminabili giorni di viaggio), mi ritrovai a varcare la soglia di quella casa che, ad oggi, posso dire avermi regalato un paio di occhiali nuovi con cui guardare la vita.

Il mio desiderio di conoscere tutti i bambini e i ragazzi del Caef aumentava ad ogni passo, ricordo l’emozione nello scendere dal bus, gli incroci di sguardi pieni di curiosità dei miei compagni, i sorrisi timidi e impauriti e poi all’improvviso eccomi li, seduta davanti a loro, vicino a loro, al lato loro, in mezzo a loro, insomma seduta in quel posto che fino a qualche anno fa, mai avrei immaginato potesse esistere e che invece da quel  momento sarebbe diventato il suolo della “mia” casa, quella casa che ha letteralmente rapito il mio cuore.

Minuti che sembravano ore, ore che sembravano giorni, giorni che sembrano settimane, settimane che sembravano mesi. Tutto era estremamente amplificato. Tutto era terribilmente grande e immenso. Tutto era semplicemente vivo, i miei occhi erano spesso per non dire sempre molto gonfi e il mio cuore, beh quello, pieno, pienissimo. Nascevano le prime simpatie con i bambini, con il team di professionisti e anche tra noi volontari. I legami giorno dopo giorno prendevano vita, si evolvevano ma io no, io mi imponevo di restare neutrale, di vivermi al massimo questo mese, di donarmi e donare tutto ciò che avevo in modo equo, senza sbilanciarmi mai verso nessuno, perché aihmè io con le “chiusure” non sono molto brava, lascio sempre qualche punto in sospeso, qualche attimo senza fine e sapere che questa esperienza aveva già una data  limite, beh, mi faceva tanta, tantissima paura. “Già sarà difficile andarsene, figurati se ti leghi in modo particolare ad uno di loro”, nella mia testa risuonavano ogni giorno queste mie parole sotto forma di mantra.

Con ogni membro del Caef, dal più piccolo al più grande sento di aver vissuto momenti bellissimi, di aver condiviso attimi infiniti, di aver stretto rapporti forti che mai avrei pensato, di aver seminato e allo stesso tempo  raccolto tanti frutti buonissimi, coloratissimi e ricchissimi. Mi sono aperta molto, mi sono raccontata tanto e grazie ad ognuno di loro ho imparato ad abbassare la mia barriera razionale. Le mie emozioni sembravano aver voglia di risvegliarsi dal letargo e quella regina di ghiaccio del nord (così si divertiva a chiamarvi quel volontario del sud che ha scaldato il mio cuore J ) giorno dopo giorno, si faceva cullare e coccolare dai sorrisi dei bambini, dai loro sguardi timidi, indifesi e pieni di vita, dai loro abbracci rispettosi, dai loro baci delicati ma profondi, dalle loro domande discrete e incalzanti.

Giorno dopo giorno i nostri battiti sembravo essersi sintonizzati sempre di più, i nostri cuori battevano allo stesso ritmo e tutto sembrava scorrere nella normalità più assoluta. Avevamo trovato la nostra routine e noi tutti ci sentivamo a casa.

Se chiudo gli occhi avverto ancora quella magica sensazione di protezione e benessere che vivevo, quella energia e vitalità che percepivo in me e che ho ritrovato in lui, quel bambino che un giorno con la sua voce forte e viva, con un foglio di carta e una penna mi chiese: “y tu, dime tu nombre y cuanto anos tiene”. Ed eccomi li, con un sorriso a 360° e gli occhi pieni di lacrime a rispondere un timido: “Rachele con c y h, y tengo 32 anos”. Le mie convinzioni circa il non “attaccamento” svanirono in giro di niente e lui F. diventò il mio punto di riferimento in quella casa e si rubò letteralmente il mio cuore.

Mi è difficile spiegare a parole cosa successe da quel momento in poi, ma i suoi modi forti ed allo stesso tempo delicati, la sua vocina tenera a volte fastidiosa, i suoi occhi piccoli, a mandorla, un pochino storti, il suo sorriso vero, le sue orecchiette piegate dalle asticelle degli occhiali e quegli occhiali, grandi, spessi rovinati e mal tenuti risvegliarono in me quel senso di amore puro e sincero che speravo poter provare prima o poi.

F. è un bambino di 7 anni, ultimo di tre fratelli, carnagione olivastra, occhi scurissimi e neri così come i suoi capelli. Ha una faccina buffa e furba. Io adoravo chiamarlo “bom bon” perché credo che sia un ottimo modo per rappresentarlo: un cioccolatino duro ripieno di cioccolato morbido. A lui piaceva molto questo nome e spesso mi guardava e mi diceva: “soy el tu bom bon”. Apparentemente molto forte ma infinitamente fragile, proprio come me, mi piace pensare che è proprio per questo che ci siamo scelti.

Con F. ho vissuto tanti momenti indimenticabili, abbiamo condiviso attimi semplici ma ricchi, ci siamo persi in abbracci lunghissimi, silenziosi ma super rumorosi. Abbracci che ti fanno sentire viva, piena, abbracci che profumano di casa.  Abbiamo imparato a conoscerci nel rispetto e nella libertà più assoluta. Ci siamo scelti senza però mai limitarci. Abbiamo parlato spagnolo, italiano, e anche una lingua tutta nostra. Abbiamo condiviso colazioni, pranzi e cene perché si, dal primo giorno è stato un “te sientas conmigo a mi mesa, prometemelo”. Per lui ho affrontato il mio limite dei broccoletti in cambio del suo per le melanzane, ci siamo scambiati (non so se si può dire J ) insalata e pomodori.

Se chiudo gli occhi sento ancora la sua vocina che mi chiama alle 7 della mattina di sabato per giocare insieme.

Ricordo perfettamente ogni attimo vissuto con lui, bello e brutto che sia, perché si, come all’interno di ogni rapporto ci sono anche i momenti difficili e F. diciamo che a volte dava il meglio di se per via di capricci.

Ma tutto si supera, tutto a parte questo immenso vuoto che sento. Potrei passare ore, giorni a raccontarvi di lui ma alcuni momenti preferisco custodirli gelosamente nel mio cuore.

Non so cosa sarà del mio domani, non so cosa sarà del domani di F.  ma ci siamo fatti una promessa e noi lo sappiamo, perché ce lo siamo detti: le promesse RACHELE e F. le mantengono.  



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