Nicola Comentale

Cartoline da Taquila

Hasta domingo!
Partiamo da una delle possibili fini: venerdì pomeriggio del 20 agosto, «Hasta nunca!» e i bambini che ci salutavano sorridendo oltre il rigagnolo di fogna alimentato da un tombino che zampillava acqua verdastra di fronte all’entrata del collegio.

Dopo una settimana riempita da altre attività, di nuovo catapultati all’interno dell’edificio scolastico n°0004987 San Judas, Taquila, periferia industriale all’estremità sud di Trujillo. Sotto quello stesso cielo sporco avevamo già congedato una settimana prima le nostre classi con cui avevamo condiviso dieci giorni di grandissime soddisfazioni: dai giochi organizzati nelle pause di ricreazione alle varie attività didattiche fino ai laboratori creativi. Ci è sembrato come se a distanza di una settimana si fosse già vanificato quel poco che eravamo riusciti a tirare su nel corso delle mattinate di lavoro. I tempi e le programmazioni peruviane ci avrebbero però serbato un’altra sorpresa: avremmo ripassato una nuova giornata con i ragazzi la domenica seguente.

L’aula abitata
Quattro tavolini e una dozzina di sedioline per i più piccoli; una ventina di sedie con il piano pieghevole per i più grandi, tutte riverniciate di marrone di recente. Quando di mattina entravamo nell’aula si trovava tutto il mobilio completamente cosparso di guano di passeri che avevano nidificato lungo le crepe del tetto. I vetri delle finestre erano tutti rotti o bucati: solo col passare del tempo abbiamo scoperto che i guasti erano dovuti al lancio di pietre con le fionde che alcuni ragazzi fanno al di fuori dell’edificio. Per rendere l’aula abitata abbiamo bisogno di pulirla da cima a fondo: si fanno due squadre e c’è chi va a giocare coi bambini e c’è chi si occupa delle pulizie facendo attenzione a non lasciare entrare i cani. Intanto, si razionano le matite, le gomme da cancellare due per gruppo ed un paio di temperamatite. Chi fa lezione alla lavagna si procura un fazzoletto e un gesso: in realtà la lavagna non c’è e si scrive nel rettangolo di parete verniciato di nero. Un altro si occupa dei quaderni: di giorno in giorno arrivano sempre più ragazzi e si passano delle sere intere a fabbricarsi dei nuovi quaderni con targhetta. Si prendono due cartoncini, dieci fogli e due fermacampioni e si mette il nome del nuovo arrivato sulla targhetta. La lezione adesso può cominciare. Si restituiscono le scope e le palette ai bambini che le hanno portate da casa, di seguito si nominano i volontari che restituiscono i quaderni, ognuno può così vedere le correzioni sui compiti del giorno precedente…
Quando alle dodici terminiamo, il sole riesce a filtrare qualche debole raggio attraverso i vetri rotti, a illuminare le sedie e i tavoli smossi, la lavagna scarabocchiata, i cestini pieni di trucioli e di bucce di mandarino, pennarelli, pastelli maschere colorate e disegni accantonati. Finalmente un po’ di vita e colori nell’aula abitata.

Visite
All’inizio pensavamo fosse la direttrice del collegio, dato che era il primo lunedì di lezione a Taquila. Poi dietro questa donna si scorge un uomo con gli occhiali scuri, un misto fra una guardia del corpo ed un maggiordomo in livrea che regge con le due braccia uno scatolone di cartone. Infine un uomo in camicia; dietro fanno capolino le facce sorridenti e un po’ imbarazzate di alcune mamme. Il corteo entra in classe e si fissa al centro della stanza: questa donna indossa un talleur elegante e ha il viso tutto tirato di lifting, saluta noi e i bambini e presenta il candidato sindaco alle elezioni dell’autunno. Spuntano due fotografi che con i flash ritraggono il sindaco che porge il primo spuntino ad un bambino immortalando così il suo impegno per le realtà più disagiate. Ad ognuno spetterà una bibita al cacao, un panino col pomodoro e formaggio e dei biscotti. Il candidato e la donna ridono e poi spariscono. Il codazzo li segue. Alcuni bambini non vogliono mangiare: dicono che si vogliono conservare la merenda per quando ci saranno anche i loro fratelli. Altri ci chiedono stupiti perché non ci eravamo portati niente da casa e se vogliamo uno dei loro biscotti. Dopo poco tempo le mosche hanno ricoperto ogni angolo dell’aula.

Morte in riva al mare
Una cosa è parlarne, un'altra è vedere l’ambiente naturale completamente sconvolto dall’azione dell’uomo. Il cielo è sporco, la sabbia è annerita dallo smog e dalle esalazioni delle industrie di trasformazione a ridosso del collegio. Quando siamo arrivati, nei primissimi giorni, c’era la macellazione dei polli e per questo c’erano più sciami di mosche del solito a Taquila. Dalla settimana seguente abbiamo invece visto azionarsi un mulino tremulo e arrivare vagonate di mais da usare per l’allevamento di polli. Tutte queste attività si svolgono sotto la completa consapevolezza dei bambini che di volta in volta indicano i tir e ti spiegano cosa contengono e dove vanno. Una volta è passato pure un elicottero e tutti a guardare nel cielo scuro. Almeno il mare blu con le sue onde giganti ti connette con il creato. Poi però in riva al mare abbiamo visto in corrispondenza del canale delle acque nere una sagoma lunga, grande come una canoa. «Una mucca!» ha detto qualcuno, poi quando ci siamo avvicinati abbiamo scoperto la carcassa di un leone di mare spiaggiato in mezzo a rifiuti, buste di plastica e gli scarichi.  Nemmeno il mare è lo stesso a tutte le latitudini: mi sono chiesto se per caso da bambino avessi visto uno scenario simile, avrei poi formato nella mia coscienza un’immagine positiva del mare.

L’uomo delle montagne
Domenica pomeriggio, ultima giornata assieme ai bambini e ragazzi di Torres e di Taquila: facciamo una attività di drammatizzazione del testo biblico sulla parabola del buon samaritano. Il padre legge il Vangelo in castigliano, mimiamo una possibile versione della vicenda, e poi si richiede ai ragazzi di fare lo stesso.

Per far capire chi fosse un samaritano, il padre spiega: il samaritano è un po’ come un serrano, uno che scende dalle montagne andine in cerca di fortune nei centri della costa; all’inizio nessuno gli darebbe nemmeno un soldo ma poi egli si scopre essere l’uomo più valente di tutti. Come da manuale delle dinamiche di gruppo, nessuno vuole fare il samaritano: gettonatissimi sono i briganti che picchiano e se ne vanno, poi segue l’uomo che viene tramortito e infine l’asinello di cui si serve il samaritano per caricare l’uomo. Si attribuiscono poi gli altri ruoli dei due uomini che non soccorrono il ferito, si trova un albergatore, una ragazza fa la narratrice ma nessuno si propone per il samaritano. Poi arriva silenzioso Rodin: è un ragazzo molto buono, sensibile, onesto (l’unico che in classe non copiava mai!) ed è come una guida per gli altri; quando ci siamo buttati in piscina al mattino lui è stato il primo a farlo e solo dopo gli altri lo hanno seguito; fra le altre cose ha anche tentato di insegnarmi la danza della marinera. Rodin lascia il ruolo dell’asino ad un altro ragazzo ancora senza ruolo, sorride, mi strizza l’occhio e mi dice «yo soy el hombre de las montañas».

Una possibile continuazione
Primo giorno di accoglienza: riceviamo gassosa, biscotti e alcuni lavori fatti dai bambini. «Quiero ser grande y viajar por el mundo» scrive su una manina di cartoncino blu Franklin, sette anni, primo anno di primaria e sguardo sempre un po’ triste.


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