Martina Cossu

Educare alla resilienza

Sono seduta qui all’imbarco per il volo di ritorno e le emozioni che provo sono davvero tante e complesse. Scrivo per raccontare quello che ho vissuto, partendo dal fatto che per quanto possa sembrare banale, imprimerlo su carta sia un’ impresa difficile, quasi impossibile. La mia scelta di partire per il campo inizia da un’ eredità: quella di mia sorella Eleonora, volontaria già da diversi anni, alla quale il Caef è sempre rimasto nel cuore. Questo perché l’esperienza di amore che caratterizza il campo è talmente forte da generare una catena di amore, che ne produce altro. Parti, mi diceva, la Casa di Tuty ti cambia la vita. E io che a trentatré anni suonati pensavo di avere certezze, sogghignavo pensando, “ok parto … però adesso non esageriamo”. E invece sbagliavo. Questa esperienza ha scardinato alcune mie certezze, mi ha lasciato piena di amore, con tante domande e una grandissima voglia ti tornare.

Più volte quest’anno nella mia vita frenetica e sempre di corsa mi sono chiesta se fosse possibile rallentare il tempo. Le mie giornate erano piene di eventi, ma facevo fatica a ricordare le esperienze vissute e mi ero arresa all’ inesorabile scorrere troppo veloce dei giorni e dei mesi. Questo, fino a che non sono sono arrivata in Perù, nella casa di Tuty. Dove il tempo che passa non è quello fisico, ma quello emotivo. Dove una settimana sembra un mese e la realtà è così vera che ti prende a schiaffi in faccia e con la stessa forza ti abbraccia, ti riempie e ti fa fiorire. 

Le storie di questi bambini e di questo paese sono difficili da ascoltare, perché sono brutalmente vere e potenti. Ognuna di esse rappresenta un percorso di riscatto e forza, grazie al lavoro paziente di tutti gli operatori e dei volontari della cdp che sostengono il Caef da ormai vent’anni. Conoscere questa realtà mi ha permesso di sentirmi estremamente grata per molte cose che ho sempre dato per scontate, in primis la mia famiglia. Camminare per i quartieri più disagiati del Perù o nella Campiña o visitare la scuola dei bambini mi ha fatto interrogare tanto sul senso di giustizia ed equità prodotto dalle nostre società occidentali. Ho potuto guardare la realtà da una nuova prospettiva e riflettere sulla mia condizione di privilegio, regalatami dalla provvidenza, che mi ha assegnato alla parte del mondo “fortunata”: quella del benessere economico. Nell’altra sponda del mondo invece esistono persone che vivono in gravi condizioni di povertà, che non mangiano, che non sanno scrivere e le più fragili sono vittime di una violenza sistemica. Molti, davanti a tutto ciò, sono caduti nella disperazione. Ma Judith ha saputo guardare oltre e ha costruito questa casa. E la sua eredità è stata accolta e amplificata dal lavoro degli operatori del Caef e della CdP. 

La sua presenza è viva nei racconti e nei valori che ha lasciato. E si vede nella commozione di chi parla di lei e nel dolore provato per la sua perdita. Questa casa è uno spazio in cui si è liberi di essere ciò che si è, con il proprio dolore, limiti e paure ma anche punti di luce e di forza da mettere a disposizione degli altri. Realtà che è vera tanto per i bambini quanto per i volontari. Ricevere secchiate d’amore ogni giorno da ventiquattro cuori pestiferi e da tutti i cuori che mi hanno accompagnato è stata la miglior esperienza che potessi immaginare, era quello di cui avevo bisogno. 

Potrei raccontavi di come si sono svolte le mie giornate, delle sveglia con il vociare dei bimbi, del campamento, di quali lavori abbiamo svolto, di cosa si mangia, ma sarebbe del tutto irrilevante, perché questa casa produce tante esperienze quante quelle dei volontari che l’hanno abitata e, per ognuno di noi è stato diverso. Anche perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, fa parte del gioco. La mia prospettiva è personale, ma la bellezza del campo è stata anche quella di poter condividere le mie riflessioni nei momenti insieme e la mia spiritualità con i miei meravigliosi compagni di viaggio e scoprire i loro punti di vista, il loro sentire. Ho imparato tanto da loro e da tutti gli operatori. 

Nel dare la mia testimonianza lascio due immagini che secondo me riflettono la realtà che ho vissuto e i suoi valori. La prima è una scena che ha come protagonista Mary (figlia di Judith che ha raccolto la sua eredità). Ci stavamo salutando il giorno prima che io partissi. Accanto a noi, tre bimbetti, che giocando con il domino avevano disposto le schede una attaccata all’altra, in modo da formare una piccola muraglia indistruttibile. Ci guardavano e ci chiedevano perché, pur spingendo le tessere, non si creasse il famigerato effetto domino. Mary con tanta pazienza li guarda, mi fa l’occhiolino e risponde, “perché l’unione rende tutti più forti, infatti se togliete una tessera il domino cade…guardate”. Toglie una tessera dal gruppo e spingendola fa rotolare il domino, tra la meraviglia dei presenti. 

Questo è l’approccio educativo del Caef riassumibile con il motto che mia sorella mi ha sempre ripetuto “juntos se puede”; ai bambini che hanno vissuto violenza e sopraffazione viene insegnato a condividere, a fidarsi, a stare insieme e rispettarsi. Si educa, con tanta pazienza, usando un approccio esperienziale. 

La seconda immagine è quella di Vanessa, la psicologa del caef, che nel rimproverare amorevolmente una bambina le ricorda: “respira tesoro e ricordati che puoi comportarti meglio di così”. In questo modo quando ci sono problemi comportamentali, si crea una distanza fra chi il bambino è veramente, e come il bambino si sta comportando, favorendo l’ autonomia e controllo di sé grazie ad accettazione e amore senza giudizio. Questo stesso approccio si applica ai familiari dei bambini, che mostrano di voler collaborare nel processo di cambiamento, nella speranza di poter un giorno accogliere di nuovo i propri figli. Su questo stesso metodo, che si può applicare anche a noi adulti, riflettevamo io e Alessandro, il sacerdote del campo, in una chiacchierata spirituale. Parlavamo dell’ importanza di discernere tra senso di colpa e senso di peccato: per trovare la luce in noi stessi dobbiamo saper guardare nel buio della nostra storia, accettarlo e andare oltre, ricordandoci che noi non siamo solo quel buio. Così si insegna e si vive la resilienza. 

Queste immagini forti sono solo alcuni degli insegnamenti che mi porto dentro che spero di poter mettere a frutto nella mia vita quotidiana ora che sono sul volo di rientro. A chi legge questa testimonianza spero di aver trasmesso anche solo un pezzettino dell’amore che ho ricevuto… magari anche a qualcuno di voi verrà il desiderio di venire in Perù a farvi cambiare la vita.

Martina Cossu, (Cagliari)





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