Un viaggio per l’altro e verso se stessi
Solo vivendo in quelle mura colorate, solo sporcandosi di terra, solo sentendo i loro abbracci e solo vedendo quei tanti occhi scuri e ridenti, si può capire cosa sia il Perù.
Ripercorrere qui in Italia tutti quei momenti mi mette tanta gioia ma anche tanta malinconia perché per me il Caef è stato un posto che per un mese ho chiamato casa e le cui persone ho chiamate famiglia.
Il mio campo è iniziato nel quartiere Tablada di Lima. Un luogo che ha provocato in me tantissime emozioni e mi ha messa davanti alla realtà che in quel mese avrei incontrato. Questa zona della città è costituita da una distesa di case, alte appena tre metri, a volte senza porte e finestre e il tetto è un filo di lamiere. Tutto è immerso nel fango perché lì le strade non sono asfaltate. Tutto è circondato da immondizia e tutto intorno è avvolto da un assordante abbaiare dei cani randagi. Il cielo è grigio e pesante e la nebbia fitta copre le cime delle case lontane. Poi ad un tratto, in quel luogo così surreale sono apparsi dalle baracche sporche, dei bambini che sorridendo con naturalezza, ci hanno salutati felici. In me è scattato qualcosa, forse paura, paura di camminare per davvero in mezzo al degrado, paura perché era tutto reale. Dopo quella camminata siamo arrivati a casa di Maruja, una piccola oasi di verde in mezzo a tutto quel grigio. La serenità e la forza che traspaiono dai suoi racconti hanno smosso in me la speranza e la consapevolezza che con il coraggio ma soprattutto con l’amore si possono vincere delle piccole lotte che fanno la differenza. Solo dopo tutto il mese trascorso al Caef e vedendo il lavoro di Judith, ho potuto comprendere a pieno le sue parole.
Dopo questi tre giorni a Lima, arrivare alla Casa di Tuty è stato per me come arrivare a casa, anche se vedevo tutti loro per la prima volta. Appena arrivati ci hanno accolti con uno spettacolo: vedere i bambini vestiti da sette nani con i cappelli troppo grandi per loro e vedere i ragazzi lanciarsi sguardi di intesa quando dimenticavano le battute, mi ha messo tantissima allegria e voglia di conoscerli.
Da quel momento con i più piccoli sono diventata compagna di giochi e capriole e con il tempo anche un po’ mamma e sorella maggiore, mentre con i più grandi sono diventata amica.
Noi volontari siamo stati divisi in due gruppi, alcuni avrebbero svolto il loro lavoro al Caef, mentre altri a Torres e Taquila. Non dimenticherò mai questi due posti così surreali.. come alla Tablada de Lurin, le case erano baracche spoglie e sporche, ma il cielo era azzurro e il fango era terra e sabbia perché a pochi metri si trova l’oceano immenso, le cui onde si riuscivano a sentire le poche volte che i bambini non urlavano o ridevano. Anche qui i bambini sono pieni di gioia e con i loro piedi scalzi e le loro mani sporche, ti fanno giocare, girare, correre e ridere.
Io sono stata scelta per il gruppo di lavoro con gli adolescenti del Caef. Con i miei compagni di gruppo abbiamo trascorso le mattinate, tra the caldi e platani fritti, a progettare e a pensare alle attività per i nostri ragazzi. Come tema abbiamo scelto “Descubrete y revela el mundo” e mi sono trovata a confrontarmi (in uno spagnolo terribile!!!!) con loro e ad ascoltare le loro opinioni.. tra giochi di squadra, partite di palla avvelenata, musica e disegni ho scoperto dei ragazzi con tanta voglia di conoscere e di farci conoscere delle piccole parti di loro. Durante le messe essere cercata da G. e da D. per un abbraccio o semplicemente per stare sedute vicine mi ha fatta sentire importante e con il dovere di essere un punto di riferimento, anche solo per quell’istante.
Un’altra giornata che mi rimarrà sempre nel cuore è la prima comunione di quattro ragazzi. Durante un momento così importante non era presente nessun genitore o famigliare. C’eravamo noi italiani e le educatrici del Caef. Anche in quell’occasione ho sentito che la nostra presenza era rilevante: noi eravamo lì per loro e tutti insieme abbiamo reso quel pomeriggio speciale. Sono stata testimone di un momento intimo e di festa: pur essendo consapevole della loro solitudine, ho dato il massimo per farli sentire accolti come in una famiglia.
Verso la fine del mese siamo andati tutti in gita per tre giorni, con tutti i bambini e ragazzi del Caef e con alcuni bambini di Torres e Taquila. due pullman pieni di cibo, giochi, travestimenti, scenografie costruite la notte prima.. tutti verso il campamento! Sono stati giorni davvero intensi, tra la fatica fisica di dover gestire tutto quanto (e qui un grazie speciale a Michi, Marci, Yoshe e Marco!) e le mille emozioni vissute di giorno e di notte. Io e Francesca siamo capitate nella camera più temuta, quella dei bimbi più piccoli che ci hanno fatto passare due notti insonni. Ma è stato bellissimo svegliarsi alle 3 del mattino per svegliare con dolcezza K che però di andare a fare pipì proprio non voleva saperne e allora ho dovuto portarla in braccio, per poi rimetterla a letto e rimboccarle le coperte. È stato bellissimo vedere Francesca che con i suoi 21 anni sembrava già una vera mamma con in braccio L che piangeva disperatamente per gli incubi. In quei giorni sono riuscita a passare finalmente del tempo con D, il “bimbo Bartolito”. Anche se ha solo 4 anni lo ringrazierò per sempre per quella sera trascorsa sdraiati a guardare con enorme stupore la luna che spariva dietro le nuvole, per poi riapparire dal nulla come per magia. In quei giorni i suoi sguardi e i suoi rari momenti in cui riponeva in me tutta la sua attenzione, sono stati qualcosa di prezioso e che mi hanno riempito il cuore.
Il campo infine, non è un vero campo senza il gruppo dei volontari, Ale, Chiara e Titty. In un gruppo così numeroso infatti, ognuno ha un suo ruolo fondamentale: c’è chi ti guida con pazienza e delicatezza nelle tue emozioni e nella tua fede addormentata da anni, c’è chi ti sgrida spiegandoti le ragioni, c’è chi diventa un tuo modello, c’è chi dà consiglio e chi ne cerca. Nel gruppo ho trovato anche quelle persone che sono profonde e divertenti allo stesso tempo e che riescono a farti ridere ogni giorno, tra cuy, secchiate d’acqua e battute di vario genere. Quindi concludo ringraziando tutti i 26 volontari perché ognuno di loro ha fatto in modo che questo mese fosse indimenticabile. (per le mie compagne di stanza, un mese sotto il cielo d’Irlanda!).
Si dice che quando si vuole “dare” all’altro, succeda esattamente l’opposto.. che sia infatti l’altro a “dare” molto di più a te. Così è stato e il mio ringraziamento più grande va a tutti i bambini e ragazzi che mi hanno dato la possibilità di farmi attraversare da tante emozioni senza paura. Un pezzetto del mio cuore è rimasto là e ora sono pronta a custodire i 24 pezzetti di cuore che porto sempre con me.