Azzurra Iacoangeli

MISTERIO DE OFRECERTE Y RECIBIRNOS

Cercare di mettere nero su bianco ciò che è stato per me il Perù non è affatto facile. Credo si debba avere il tempo di rileggere questa esperienza  più e più volte, avendo la cura di nutrire il terreno sul quale si è seminato e l’attenzione di vederne i germogli nella propria quotidianità.

Sono partita per questo campo grazie ad Alice che, tramite i suoi racconti emozionati , è  colei che mi ha fatto conoscere il CAEF, anche se lo avrebbe saputo solo in seguito.  Alla partenza , oltre a due valigioni enormi portavo con me mille dubbi e paure ma anche tanta voglia di donare il mio tempo, le mie energie, la mia mente e il mio corpo ad una realtà che conoscevo appena, ma sapevo bisognosa.

Il primo approccio con il Perù è stata Lima: città enorme, incasinatissima,piena di taxi guidati da autisti poco raccomandabili, dal clima grigio e dalle grandi contraddizioni. Nei giorni passati a Lima ci siamo scontrati con i due volti della cittá: quello di Miraflores, dei grattacieli , dei parchi curatissimi  e quella di quartieri molto poveri dove domina la sporcizia, i cani randagi, i venditori di strada e dove abbiamo conosciuto il MANTOC (Movimiento de adolescentes y niños trabajadores hijos de obreros cristianos).

Questa realtà è stata la prima a toccare delle corde differenti in me: perché non capita tutti i giorni di ascoltare dei bambini di tredici/quattordici anni che parlano con estrema consapevolezza  della loro realtà di lavoratori , dei diritti che sanno di poter reclamare, dei problemi del loro paese e dei progetti che hanno per il futuro. E’ stato di grande ispirazione avere un confronto con loro, vederli orgogliosi di rispondere alle nostre domande, condividere il pranzo a base di Pachamanca e chicha morada  e avere prova di come dalle loro condizioni disagevoli fossero riusciti a tirar fuori qualcosa di estremamente positivo: come se la difficoltà e la povertà fossero state per loro un motivo in più per tirar fuori la forza, la determinazione  e la speranza che ci hanno trasmesso in quella mattinata passata assieme.

Dopo Lima c’è stato l’arrivo al Caef e la sensazione di iniziare propriamente il campo. Porterò sempre con me l’emozione della prima sera, dell’accoglienza che ci è stata riserbata. I bambini avevano preparato uno spettacolo tutto per noi , erano ansiosi di abbracciarci , vecchi e nuovi volontari non faceva differenza: era iniziato il loro mese felice.

Cosa porto con me?

Del Caef porto con me gli sguardi, gli abbracci , i sorrisi e tutto l’amore che mi ha attraversato in quelle settimane, in grande quantità e buona qualità. Nella ripartizione dei gruppi a  me sono toccati gli adolescenti: ragazzi tra i 12 e i 18 anni, con le loro storie, i loro differenti temperamenti, chi appena arrivato, chi sul punto di lasciare quella casa che lo aveva accolto e che gli aveva regalato una seconda famiglia. E a quel punto ti chiedi cos’è che puoi dar loro in un tempo che all’inizio sembra lunghissimo ma poi mai abbastanza. Arrovellandomi nel cercare la riposta mi accorgevo che in realtà tutto stava già avvenendo in maniera ben più naturale di come la mia mente potesse concepire: coinvolgerli nelle attività, giocare in mezzo a loro, parlargli della mia vita in Italia ,di cosa faccio , cosa studio , rispondere alle loro curiosità, trovarsi a parlare di progetti di vita seduti per terra nel patio azzurro del Caef, fare a gara di barzellette, cantare insieme Ed Sheeran dal tuo Spotify, scambiarsi sguardi pieni durante le messe, abbracciarsi con “cariño” la sera prima di salutarli; è stato fatto di tanti piccoli momenti condivisi il nostro mese e arrivi all’ultima settimana che quei ragazzi che all’inizio ti guardavano un po’ con diffidenza li senti i tuoi fratelli più piccoli.

Del Caef ancora porto con me Judith,la direttrice, colei che tanti anni fa ha messo la prima pietra della “Casa de Tuty” (che è il suo soprannome, ma anche un gioco di parole per dire di “tutti”).Una donna che non puoi che descrivere come speciale, con del “soprannaturale” a tratti: la sua energia, la forza delle sue parole ma soprattutto la sua passione sono state più volte durante il campo motivo di riflessione, di scuotimento, di emozione. “ Non lasciate che il vostro treno vi passi davanti, prendetelo qui,ora” risuona ancora dentro di me il suo discorso, uno dei primi giorni di campo.

Del Caef poi porto con me tutti i volontari e i loro sguardi su cui, nonostante impegnati in attività diverse e in luoghi fisicamente diversi, avevo sempre modo di soffermarmi la sera durante le condivisioni. La condivisione è stata una delle sfide di questa esperienza: guardarsi dentro, riconoscere le proprie emozioni, dargli un nome e metterle al centro alla sera non è stato facile ma credo abbia arricchito molto il mio campo. A volte attraverso le parole  degli altri ho sentito esprimere  movimenti interni da me taciuti, attraverso i loro racconti mi è sembrato di poter vivere  luoghi, bambini, storie che non avevano avuto modo di incrociare la mia strada, attraverso i loro occhi emozionati sono stata in grado di emozionarmi a mia volta .

L’ultima immagine che porto del Caef, la più vivida forse, è quella della nostra partenza: E’ buio, Ci abbracciamo tutti , qualche lacrima fa capolino e mentre carichiamo le valigie cerchiamo di fotografare tutto con gli occhi per un’ ultima volta, nessuno vuole essere il primo a salire sul bus e a dire così il proprio arrivederci a quel posto che per un mese è stato casa. Una casa che,così come ha dato una seconda opportunità a tutti i bambini che la abitano ,mi piace pensare l’abbia data un po’ a tutti noi : L’opportunità di guardarci, di sentire, di donarci con gratuità. Torno in Italia con tanta voglia di riportare quella passione respirata,osservata,provata nel mese in Perù nel quotidiano, con la consapevolezza di avere una vita fortunata e di doverla “mettere a frutto”,  con la pienezza e la bellezza che, ora lo so, ti sanno dare le piccole cose e con il pensiero che ci sia sempre, dall’altra parte del mondo,un posto per cui mi batte il cuore.


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