di Alessandro Noli, volontario CdP e dentista
Quando ho deciso di andare in Perù, è stato per mettermi a disposizione dei bambini ma poi anche della comunità. Per cui, con Judith abbiamo organizzato un ambulatorio in modo che potessi fare il dentista e curare, per due settimane, i bambini della casa e le persone che ne avevano bisogno.
La mia esperienza in Perù è stata possibile grazie all’accoglienza di amici che mi hanno coinvolto in un progetto bellissimo, in cui mi sono sentito libero di dare ciò che in quel momento mi sembrava essere una cosa utile per quei bambini. Ho cercato di donare ciò che sono nella mia quotidianità professionale a tutti coloro che avevamo pensato potessero averne bisogno.
È stato bello prima della partenza cercare i materiali; molti li comprammo a Trujillo, soprattutto gli attrezzi da lavoro, non sapendo quello che avremmo trovato nell'ambulatorio messo a disposizione per noi in Campiña de Moche.
La maggior parte delle persone da me curate come odontoiatra, presentavano problematiche associate: se bambini, carenza di fluoro e vitamine tanto da riscontrare lesioni varie e importanti già a partire dei 3/4 anni. Negli adulti, la maggior parte presentavano perdita di elementi dentali da parodontite generalizzata dovuta principalmente alla situazione socio economica oltre che da inadeguata igiene orale domestica, tenendo conto di un fattore: in Perù la Coca-Cola costa meno dell’acqua.
Ciò comporta, come è facile immaginare, una distruzione dei tessuti duri del dente creando una forte demineralizzazione. Da aggiungere vi anche che l’odontofobia è diffusa, specie per il costo dell’anestestico, fatto pagare a parte in ogni singola prestazione. Noi, stavamo lavorando in un ambulatorio pubblico e non privato; perciò ci ha lasciato sgomenti che facessero prestazioni senza anestesia, quali estrazioni e otturazioni, in cui il paziente sceglie di non farsi fare l’anestesia a causa dei costi.
Per questi motivi, il mio lavoro è stato ancor più importante per la comunità: perché potevamo offrire le cure necessarie e cercare di fare un poco di prevenzione almeno con gli adulti che seguivano e ci portavano i loro figli.
L’incontro con i più piccoli e con le persone adulte ha reso il tutto un’esperienza di vita importante: il rendersi conto che niente di ciò che conosciamo è scontato, fine a stesso! Il vedere quelle stesse persone, con cui facevamo esperienza quotidiana di volontariato, arrivare con dignità nel nostro piccolo ambulatorio per sottoporsi alle nostre cure è stato un’emozione quotidiana umana unica.
In due settimane ho incontrato circa 100 pazienti di diversa età, situazione e ceto sociale ma che avevano in comune un grande senso di gratitudine. Quei grazie, quegli occhi pieni di fiducia che mi hanno fatto capire chi fossi, il valore per molti di ciò che si stava cercando di donare. Loro stessi, nella piena povertà, portavano a noi dei doni; è stato incredibile!
L’accoglienza di queste persone e di questi bambini sono stati, per me, un dono a cui dire grazie. Ad oggi, sempre più con difficoltà ci si scambia quell’umanità, elemento fondante di una qualsiasi civiltà. L’accoglienza appunto sempre più merce rara, sempre più moneta di scambio dimenticata che ci porterebbe ad essere persone migliori. Mi sono portato questo da quell’esperienza: il valore dell’accoglienza!