Dia 4 – Ovunque vado io, andrai anche tu!
Ci alziamo molto presto, il mio corpo sembra volermi dire che devo prendermi il tempo per vivere ogni emozione, ogni sensazione con calma. Scendo alle 7.30, molti di noi sono già pronti per partire. Carichiamo le valigie sul bus con l’aiuto di Alfredo ed eccoci in un baleno sul bus che ci porterà a Trujillo; il viaggio per me è iniziato ormai sette mesi fa, con quella ferita che mi ha portato a decidere oggi di essere di nuovo seduta su un sedile di Linea per dodici ore per tornare a casa.
Guardo in silenzio la periferia nord di Lima: i miei occhi sembrano non voler minimamente abituarsi a quei paesaggi di desolazione, al grigio del cielo che si mischia col colore della terra da cui spiccano i colori delle case che poggiano su quelle dune di sabbia. Lascio che il mio disappunto prenda il largo insieme ai pensieri che in questi sette mesi hanno affollato la mia mente. Forse stanca dall’intensità delle emozioni contrastanti che provo, mi abbandono ad un sonno profondo. Il viaggio prosegue con l’oceano da un lato e il deserto dall’altro; parole crociate, sarabanda sulle sigle dei cartoni animati e la visione di alcuni film stemperano la noia di questo viaggio che pare infinito. Eppure dentro di me si scatena silenziosa una tempesta che porta con sé il forte desiderio di arrivare e la paura di scendere dal bus.
Al calar del sole entriamo alle porte di Trujillo; costeggiamo la Campina e subito sento il desiderio di scendere dal bus, e quando finalmente arriva quel momento, trovo lo sguardo di Mary che si posa sul mio viso, mi sorride e venendomi incontro mi abbraccia e mi dice: “benvenuta”.Ci stringiamo forte, non ci diciamo nulla, siamo felici di essere insieme e questo mi basta. Finalmente ci dirigiamo verso casa, io salgo nella loro macchina e arriviamo finalmente in Campina. Ad aspettarci l’intera equipe, pronta ad accoglierci e raccontarci chi sono e di cosa si occupano. Entro in casa, col sorriso saluto tutti ma appena vedo l’ingresso mi fermo e il mio cuore fa un sussulto. Foto incorniciate, i muri dipinti a nuovo, ogni angolo un ricordo, un momento scolpito nella mia testa. Su una parete troneggia una cornice con al suo interno uno scritto del 15 gennaio 1999 firmato da Judith: questa è la nostra filosofia, risuona il titolo. Il mio cuore si gonfia, comincio a sentire di nuovo quell’amore conosciuto in questa casa. In un attimo ci troviamo tutti seduti sul patio ed ecco la tanto attesa bienvenida dei nostri bimbi che hanno lavorato e non vedono l’ora di mostrarci lo spettacolo che hanno preparato per noi. Balli, coreografie fanno da cornici a volti sorridenti che riconoscono nei nostri occhi quei profe che aspettavano con tanto amore.
Ad un certo punto esce Y. e ci legge una lettera, scritta per noi e che dice: “per noi il Caef è famiglia, speriamo che in questo mese tu voglia farne parte”, ed ecco un altro sussulto al cuore; parole note, parole che sono l’insegnamento di chi ha cresciuto non solo i bambini ma anche tanti di noi. La serata prosegue con gli abbracci aspettati un anno, il calore di chi ti attende anche solo per stringerti la sua manina nella tua e dirti: “mangiamo insieme oggi?”.
E così inizia il tanto atteso mese di agosto, quel mese speciale dove la magia regna in questa casa. Le emozioni sono tante e Alessandro ci invita a dare un nome a quelle vissute in queste poche ore al Caef, così rimango un attimo in silenzio e poi dico: “Gioia e Tristezza, perché ovunque io vada, andrai anche tu” (dice gioia a tristezza), ed è così che mi sento ora nella mia stanza mentre scrivo queste poche righe: felice di essere di nuovo a casa e anche triste perché non tutti siamo ancora qui a stringerci in un abbraccio ma senza quel senso di vuoto non avrei mai sentito quell’amore profondo che Judith e il Caef mi hanno regalato in tutti questi anni.
Titti – 12 campi al Caef