Dia 23

Giornata di sole con la pioggia 

La giornata di oggi è stata tante cose, ma la fatica in particolare si è fatta sentire.

Tutto è cominciato molto, molto presto, pochi minuti dopo la mezzanotte, io e altri volontari stavamo ancora giocando a carte. Stavamo giocando a “Kiwi”, uno dei tantissimi giochi portati da Sara (soprannominata affettuosamente Orango Mamma Sara). Ci siamo divertiti tantissimo, ridevamo così forte che abbiamo finito per svegliare Ale.

Mi piace tanto il momento dei giochi notturni perché mi distrae, mi alleggerisce. 

Dopo una serata così, la sveglia suona davvero troppo presto. Alle 6:50 devo accompagnare i bimbi a scuola. Nonostante la stanchezza, ho ancora molta energia e un grande sorriso sul viso e sono pronto per affrontare una novità assoluta qui al campo, la donazione del sangue.

Ero molto emozionato. La mente è volata subito a Roma, dove spesso vado a donare con Giacomo. L’idea di farlo qui, in Perù, mi esaltava. Appena arrivati in ospedale, c’era una fila lunghissima, che abbiamo potuto saltare per fare direttamente il colloquio, e poi via, subito in poltrona. Qui è diverso da casa: le postazioni per la donazione sono scomode, e le infermiere sembrano meno esperte. L’ago mi ha fatto un po’ male. Intanto, nella mia testa c’era l’immagine della colazione: ciambella fritta e caffè. Ma stavo ragionando con i ricordi. Per un attimo mi ero dimenticato che siamo in Perù, e qui la vita è diversa. Ho comunque apprezzato i cracker e la bibita.

Fino a quel momento era andato tutto bene


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Ma appena rientrato al CAEF, mi ha assalito una stanchezza fortissima. Le palpebre si facevano pesanti: avevo assolutamente bisogno di dormire. Era la prima volta che mi sentivo così fiacco, così mi sono buttato sul letto. Ma la luce del sole mi impediva di addormentarmi.

Allora ho cominciato a fissare il soffitto e pensare.

Non mi ero ancora reso conto che mancano pochi giorni alla fine.

Non mi ero ancora reso conto di quante cose belle abbiamo fatto qui: di tutte le risate e i pianti che abbiamo condiviso, dei ricordi che abbiamo collezionato.

E, soprattutto, non mi ero reso conto che sono cambiato. Mi ero abituato a questo nuovo me. Solo ora capisco che sono cresciuto, che qui ho coltivato i miei talenti. I miei occhi ora vedono meglio ciò che mi circonda.

Le ore passano e mi rendo conto che sono già le 17. Sono stufo di riposare. Mi faccio forza e mi alzo: sentivo che non c’era tempo da perdere, che dovevo godermi ogni minuto dei pochi che restano.

Insieme a Giac mi sono alzato e siamo usciti dalla nostra "tana".

Ci hanno accolto tutti con un “Buenas tardes” con volti felici di rivederci, felici ma anche un po’ preoccupati, sperando che avessimo recuperato le forze.

Fino all’ora di cena abbiamo continuato a cantare e dipingere le porte che abbiamo costruito insieme (progettate da me), mentre i bambini giocavano a pallone. Noi cercavamo di proteggere i barattoli di vernice da calci e dispetti, o chi si avvicinava incuriosito e meravigliato.

Mi sembrava proprio di essere a casa, come quando hai appena comprato casa e inviti amici e parenti per darti una mano, e tutti si danno da fare perché ci tengono davvero.

Francesco, da Roma, prima volta in Perù 


Saudade

Sono tornato! 

Ci siamo sentiti qualche giornata fa, sono Giacomo da Roma e oggi condividerò questo blog con Italo, chiamato comunemente Francisco e raramente Francesco.

Questa notte ha descritto completamente la convivialità che ho con gli altri volontari in questa bellissima avventura; tra una partita e l’altra a Kiwi, dove ci potremmo essere lasciati andare nelle risate, il povero Padrecito che ha il suo monolocale affacciato nella cucina dove ci trovavamo, esce visibilmente scocciato ed esclama “andate in Paradiso”, almeno questo è quello che ho capito.

Il primo avviso ci è stato sufficiente, da quel momento in poi non abbiamo aperto bocca, però una sfida ormai era in corso; la volontaria Anna, con cui condivido spesso la frase “ho tanta fame”, era visibilmente distrutta dalla privazione di sonno, cosa che l’ha portata a compiere alcune scelte avventate per molteplici volte con una convinzione sconvolgente, seguita ogni volta da una nostra risata tanto silenziosa quanto forte che alla fine mi ha fatto lacrimare dalla felicità e dal divertimento. 

Nella mattinata insieme ad altri volontari siamo andati a donare il sangue nell’ospedale qui a Trujillo; arrivati in questo complesso di piccoli edifici ad un piano, con i soliti tempi Peruviani, (conferma del fatto che per metà lo sia anche io) siamo stati fatti accomodare.

Appena entrato nella stanza della donazione ho sperato di essere il primo a fare il tutto (vista la mia piccola fobia per gli aghi enormi, affilati e spaventosi) desiderio che puntualmente non si è avverato, anzi sono stato l’ultimo.

Nel procedimento avevo come vicina di donazione Greta, una volontaria, che sprizzava entusiasmo e stupore ad ogni movimento dell’infermiere, la quantità di particolari che notava mi ha portato a sbiancare un paio di volte ma fortunatamente è andato tutto per il meglio. 

La casa dal nostro arrivo sta subendo vari piccoli grandi cambiamenti, abbiamo realizzato varie porte con un fantastico legno delle Ande; per non lasciarle vuote alcuni di noi ci stanno realizzando sopra dei capolavori che mi immergono in un mondo più spensierato e libero, cosa che spero potranno sperimentare anche i bambini della casa.

Dall’inizio del campo, con l’altro scrittore di questo blog, stiamo documentando quotidianamente la vita del campo tramite foto, questa cosa le bambine e i bambini della casa l’adorano.

La nostra ultima gita ad Otuzsco li ha incuriositi e ogni volta con degli occhioni mi chiedono di “enseñar” cioè mostrargliele, puntualmente me ne sono dimenticato ma oggi prima della cena ho rimediato.

Il tempo di poggiare il computer sul tavolo e mi ritrovo circondato.

Inizio a scorrere le foto, per ognuna riconoscevano qualcuno dei volontari, facevano dei lunghi sospiri di stupore per i fantastici panorami e ridevano rivedendo alcune nostre espressioni; vederli così ammaliati mi ha lasciato appagato per essere riuscito non solo a catturare un'immagine ma un sentimento vivo. 

Sono riuscito a portarli in gita dalla loro aula! 

Al tramontare del sole con alcune volontarie ci siamo messi a guardare le stelle, trovandone solo una, inizialmente ho provato a cercarne altre ma dopo un po’ ho accettato il fatto che non potevamo vederne di più, dopo poco ci ha raggiunto L. che mi si è sdraiata accanto.

Le abbiamo spiegato che stavamo guardando una stella, anche lei dopo poco l’ha trovata e le abbiamo chiesto se volesse darle un nome per ricordarsi di questo momento.

Lei un po’ imbarazzata non ha voluto, però ormai necessitava di un nome, quindi ho scelto la parola portoghese “Saudade”, può avere diversi significati ma personalmente quello che gli si addice di più è “amore che rimane”, la stessa parola che userò descrivendo questa esperienza. 

Giacomo, prima esperienza in Perù


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