Dia 2 Anche nelle difficoltà c’è vita.
Sono seduta qui sul letto alla fine di questa giornata che sembra essere durata settantadue ore, e mentre scrivo penso che mi ci vorrà un mese per elaborare quello che ho vissuto oggi. Sono stanca, ma è stata una giornata piena e intensamente vissuta.
Stamattina ci siamo incontrati alle otto per il primo momento di preghiera e condivisione. Le nostre guide ci chiedono di riflettere su quale sia il nostro desiderio per questo campo, e la domanda da il via alla catena di risposte che ognuno di noi mette sul piatto, mosse dalle nostre esperienze e storie.
Dopo l’incontro abbiamo il tempo di raccogliere le nostre cose, saltare su un Uber e dirigerci verso una casa di accoglienza per ragazze madri. Ci raggiungono i volontari dell’Associazione “acompañame” con Daniela, che porta tutto il materiale necessario all’attività. Entriamo dentro un cortile ampio e all’ingresso ci identifichiamo. Ci troviamo davanti a uno spazio con una rete da pallavolo, una casetta con un murales colorato e sullo sfondo tanti passeggini. Vanno e vengono tante persone e una ventina di ragazze dagli occhi scuri e curiosi ci guarda. Una di loro incrocia il mio sguardo e mi sorride. E mentre tutti si adoperano per iniziare le attività una delle educatrici ci racconta un po’ di cosa succede là dentro. La struttura ospita diverse ragazze, tra i dodici e diciassette anni, e i loro bambini, il più grande dei quali ha un anno. Ci spiega che la struttura è un luogo sicuro per queste bambine e ragazze e si occupa anche di reintegrarle nella società. Ci dice che la nostra presenza lì serve per esporle alla diversità e le aiuta ad inserirsi. Ci informa che ci sono ragazze diverse per provenienza e storia, che ognuna sta facendo un percorso e che mentre alcune sono più aperte, altre fanno fatica: ci vuole pazienza.
Finita l’introduzione noi ci guardiamo intorno, un po’ spaesati, e imbarazzati, come è tipico delle situazioni in cui vedi per la prima volta qualcuno che non conosci. Mancano i fogli bianchi per iniziare, le ragazze ci guardano e noi non sapendo che fare improvvisiamo una Macarena. Loro ridono, non conoscono la musica o i passi, ma hanno voglia di giocare e quindi tra una risata e l’altra ci seguono. Tante incertezze e titubanze e invece bastava un ballo per iniziare a conoscersi e rompere il ghiaccio. Il clima si rilassa, arrivano i fogli e iniziamo a disegnare e a chiacchierare. Fanno le domande tipiche, sono curiose, “Quanti anni hai? “Da dove vieni? “,”Cosa si mangia in Italia?” Ma una in particolare mi colpisce e mi riporta alla realtà del momento: “E tu hai figli?”Rispondo impacciata “Io… no, non ne ho”. E così la prospettiva si ribalta e io, che ho trentatré anni, mi sento incredibilmente piccola davanti a lei che pure se bambina mi parla da adulta “ Mio figlio si chiama… ha tot anni… lo allatto e la notte si sveglia”. E mentre parla mi chiedo cosa si provi a essere madri e bambine, come si fa a prendersi cura di un bambino quando si ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi?. Quanto velocemente si deve crescere e quali sono le conseguenze di questa crescita precoce?.
Intanto mentre noi disegniamo, il campo da volleyball si è popolato ed è in corso una partita, tutti ridono e si divertono e il clima ormai è una festa. Il tempo vola e dopo poco ci ritroviamo a doverle salutare, ci ringraziano e ci abbracciano. È stato un incontro breve ma molto intenso, che mi lascia un groviglio di emozioni che sento nella bocca dello stomaco.
Saliamo sull’ Uber, la radio passa musica rock e noi canticchiamo i Queen e ci prepariamo a cambiare scenario, anche se sappiamo che quello che abbiamo visto ci rimarrà dentro.Arriviamo alla piazza centrale, in un tripudio di feste, colori, musica forte e gente che balla in costume tradizionale. C’è la festa della giustizia, istituita dal governo per ravvivare gli animi dei cittadini e creare fiducia nelle istituzioni.
In mezzo alla confusione, Sara, una volontaria, ci spiega con precisione e allegria la storia degli edifici che vediamo nella piazza, tra i quali si staglia quello del governo. Sono palazzi alti, sfarzosi e opulenti. Degli avvoltoi volteggiano sopra le cupole scaldate dal sole e mi accorgo quanto tutto questo sfarzo strida fortemente con quello che abbiamo visto fino ad ora. Andiamo a mangiare un boccone e ci ritroviamo in centro immersi tra i contrasti di questa città. Una folla di gente con tante persone che chiedono l’elemosina, chi canta, chi balla, chi si inventa quello che può per attirare l’attenzione e poi tanti bambini che vendono oggetti per strada. Attraverso questo fiume umano di brutalità e vitalità mischiate insieme in mille suoni e odori e mi gira la testa.
Due di noi si fermano a fare una foto con i personaggi di inside out: ci sono ansia, rabbia e gioia e sorridendo tra me penso che i personaggi rappresentano il mio sentire di oggi, ma manca tristezza.
Andiamo a bere un po’ di pisco e ripenso a quello che ho appena visto con grande meraviglia. È come se questo paese mi sbattesse in faccia una realtà cruda ma tremendamente vera e potente. Nonostante la disperazione e il degrado c’è una forza vitale che muove le persone peruviane e le porta ad andare avanti nonostante tutto. Questa sensazione complessa mi rimane addosso e me la porto dentro ancora adesso mentre scrivo. Spero di ricordarmela, quando mi sentirò sopraffatta dalle piccole incombenze quotidiane della mia vita tranquilla, che non sono nulla rispetto a quello che ho visto oggi.
04.08.2024 Martina, Cagliari
Ps: Tanti auguri di buon compleanno a Padre Massimo Nevola!