Dia 12

Oggi il tempo ha smesso di correre.

L’ho sentito già dalla sera precedente, quella sensazione “strana” quando sta per accadere qualcosa di bello. L’“Accampamento” aveva appena preso vita: un fine settimana organizzato interamente da noi volontari. Ma ciò che lo rendeva davvero diverso era un pensiero semplice e potente: avremmo passato tutto il weekend con i bimbi del CAEF e avremmo dormito con loro. Una vera gita fuori porta.

Mi sono svegliata con lo stesso battito impaziente dei bambini. Appena uscita dalla stanza, l’ho visto: E., elegante nei bermuda blu e nella camicia ben abbottonata, lo zaino saldo sulle spalle. Mi ha guardata con occhi neri profondi e un sorriso che sapeva di festa: «Yo stoi lindo por l’accampamento!». Erano le 7:30, ore prima della partenza, eppure il suo entusiasmo già traboccava. Mi è entrato dentro come un raggio di sole e, da quel momento, non vedevo l’ora di iniziare.

La mattina si è aperta con la nostra condivisione, seguita da una colazione danzante tra musica e risate, arricchita dalla presenza di Titty, arrivata la sera prima. Alle 10:30, finalmente siamo partiti con due pullman. Mi sono seduta accanto a F., mentre N., dal sedile dietro, chiedeva canzoni spagnole. Abbiamo cantato senza sosta: il tragitto stesso era già un regalo.

All’arrivo ci siamo divisi in quattro squadre: io ero nella “Azul” e lì, tra mani alzate e sorrisi larghi, abbiamo creato il nostro inno. A seguire abbiamo lasciato i nostri zaini nelle stanze: le ragazze che avrebbero dormito con noi brillavano di un’eccitazione pura, quella che non si finge. Poi un passaggio al parchetto, un pranzo insieme, e infine il cuore pulsante della giornata: i giochi.

Lì sono tornata bambina. Ho corso, urlato, mi sono sporcata di terra e di gioia. Ho sentito il sudore scivolare sulla pelle e il cuore battere forte mentre incitavo la mia squadra e si creava sempre di più un legame e un intesa unica con i bimbi. Ero parte di una piccola famiglia colorato che metteva anima e corpo in ogni sfida.

Ci siamo fatti un bagno in piscina che ha riportato freschezza e leggerezza. Dopo la doccia, ci siamo ritrovati per la messa: lo sfondo era un quadro vivo, le montagne peruviane immerse nei colori del tramonto. In quel momento A. si è accomodata sulle mie ginocchia, e in pochi istanti il suo respiro si è fatto lento. Le sue mani minuscole, calde e leggere mi hanno sciolto il cuore. Ho pensato che merita tutto questo e molto di più: un futuro ampio, pieno di speranza. Ha solo quattro anni, ed è giusto che i sogni restino interi.

Poi l’annuncio dei vincitori della giornata: per la squadra Azul, un cucchiaio di legno. Ma non importa, la nostra rivincita ci aspetta. Abbiamo poi cenato, e subito dopo abbiamo consegnato ai bambini stelline luminose. Con le luci spente, la luna piena alta nel cielo e quelle piccole luci tremolanti tra le mani, tutto è diventato magia. I loro occhi si accendevano di stupore per un gesto semplice, come se il cielo fosse sceso un po’ più vicino.

Questo luogo è un varco. Qui si torna bambini, si sogna l’Isola che non c’è insieme a Peter Pan, Trilly, Wendy, Capitan Uncino e i Bambini Sperduti. Perché loro lo sono davvero: piccoli viaggiatori smarriti in cerca della propria luce. E io sono grata a ciascuno di loro, per avermi aperto la porta di casa e quella del cuore.

Grazie a Luca, Mati, Sara e Nina per una prima giornata che è stata un’avventura intera.

Domani, la storia continua. E noi, bambini sperduti, siamo pronti a scrivere il prossimo capitolo. 

Arianna, 30 anni da Roma, prima volta in Perù.

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