Dia 10

Ciao sono Giacomo un ragazzo di 23 anni, vengo da Roma con una mamma Brasiliana e un papa Peruviano, spero di potervi trasmettere le sensazioni che sto vivendo in questi giorni 

Questo giovedì mattina doveva iniziare con una lezione di yoga rigenerante con il maestro Brandon aka Francesco, un altro volontario, ma per urgenti questioni burocratiche (non si è svegliato) è stata rimandata a data da destinarsi.

A parte questa grande perdita, per la prima volta, per la gioia dei miei compagni di viaggio, sono riuscito a contenere il mio ritardo all’incontro mattutino sotto i 5 minuti, un record considerando le ultime mattine e serate.

Un’ora prima di iniziare le attività con i bambini, con il gruppo accademico ci riuniamo, la mia dose di puntualità era già terminata (alle 9:15); questa è una delle fasi più delicate dove programmiamo il da farsi per ogni gruppo e per alcuni dei bambini/ragazzi con esigenze più specifiche.

Nelle prime tre ore, complice l’assenza di alcuni bambini, siamo riusciti a concentrarci su chi è rimasto singolarmente; molti di loro avendo iniziato ad andare a scuola tardi si trascinano dietro difficoltà a noi inimmaginabili per la loro età.

Nonostante questo ogni volta che mi siedo accanto a uno di loro e li guardo negli occhi, dopo alcuni istanti iniziali più o meno lunghi in cui sono timorosi, spalancano sorrisi e occhi mettendo tutte le loro energie nell’attività da fare.

Negli ultimi due giorni ho lavorato molto con L., una ragazza che ad ogni volontario che incontra dice che è il suo preferito, cosa che ho scoperto dopo una mezza giornata in cui me ne sono gongolato; sono passato sopra questo e approfittiamo di ogni istante per fare pratica su qualsiasi materia capiti, anche se stanca sorride e mi avvisa che alla prossima ora insieme dobbiamo continuare, in particolare modo in matematica.

Il pranzo insieme ai bambini è una cosa magica, cambiano espressione ad ogni passo che fai e se sbagli potresti trovarti dei visi offesi durante il resto della giornata; una volta seduto è come stare in mezzo ai propri fratellini e sorelline con cui scherzi da sempre su ogni cosa, dove alla fine di ogni pasto passano a salutarti con un abbraccio avvolgente.

Nelle varie ore di lezione per rompere la monotonia ho l’abitudine di farmi un giretto e vedere che fanno i nostri vicini di creatività e di formazione, rimanendo sbalordito dalla varietà e profondità di alcune attività, sedendomi per svolgere qualche minuto con loro e poi tornare al mio gruppo.

La giornata sembrava essere andata in modo tranquillo fino all’ultima ora con i bambini più piccoli, un urlo ha squartato la pace, era arrivato J. e i suoi calzini profumati, i primi 30 minuti più faticosi della giornata con la fortuna di avere la merenda nel mezzo.

Nella restante parte della lezione sono stato accanto ad A. con cui abbiamo ripassato i numeri e provato a dirli in inglese, lei con quelle guance paffutelle e l’essere sempre restia a mettersi una felpa prima di andare a cena, mi ha fatto passare la stanchezza dell’intera giornata e ricordandomi ancora una volta del motivo per cui sono qua.

Al blog della giornata si aggiunge una piccola parentesi, un racconto di Davide, un volontario che ha accompagnato un gruppo di bimbi alla Mini Gran, un piccolo spazio dove è possibile visitare diversi animali.


Davide, 18 anni, da Torino.

Ci siamo ritrovati davanti al portone di ingresso alle 10:30, noi 4 volontari e 6 bambini super entusiasti di uscire dalla loro routine e andare alla mini fattoria degli animali. Questo l’ho visto in quei 10 minuti di camminata all’andata dove E. mi ha preso per mano e mi ha fatto strada saltellando come Heidi per la via.

Arrivati là ci ha accolto la signora Aurora, una donna di 80 anni che ci ha fatto vedere e dare il cibo agli animali: i QI (piatto tipico), i conigli, galli e galline, i pulcini, le tartarughe marine e terrestri, asini, capre, un vitellino, il cavallo Vincent, il maialino George, l’oca Renato e tanti altri, ma quelli che mi sono rimasti più impressi sono i piccioni. Piccioni sia grandi che piccoli ( e fidatevi che cercare su internet una loro foto ne vale la pena, perché sembrano quasi leoni, con la loro criniera che li rende buffi) ai quali ci era stato permesso di dare chicchi di mais gialli (dovete sapere che in perù c’è molto mais nero). A tutti i bambini si sono spalancati gli occhi, e continuavano a chiedere altro mais da dare, ma quando arrivava il momento di porgere la mano facevano un salto all’indietro per la paura data dallo svolazzare degli uccelli. Mi sono rimasti impressi perché una bambina si è messa a piangere, non per lo spavento ma per la paura, la paura di avvicinarsi che le impediva di dargli il chicchetto di mais, facendola correre da me. Ero come uno scudo fra lei e i piccioni, che erano come dei mostri per quella piccoletta.

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