Lucia Tuberga

Tutto con il gioco, niente per gioco


Sono tornata a casa da più di due settimane, ma i pensieri e le emozioni continuano ad accavallarsi e a intrecciarsi.. È stato un mese intenso, ricco, a tratti faticoso, ma pieno e coinvolgente.

Riabituarmi alle comodità è stato immediato, ma rimangono vivide le emozioni provate, le condivisioni e le riflessioni e la strana sensazione di appartenere in qualche modo a due posti diversi, che entrambi chiami casa. 

Uno degli aspetti che mi ha più colpito di questo viaggio è stata la forza delle tante donne che abbiamo incontrato, tutte con un’energia e una potenza notevole. 

 

Il mio viaggio per il Perù è iniziato prima di arrivare e a Lima, quando mi è stato chiesto di spiegare al gruppo la storia del paese dagli anni ’60 ai giorni nostri. Ero un po’ spaventata perché era una parte di storia che conoscevo molto poco e mi sono dovuta rimettere a studiare, però mi ha permesso di partire preparata e di sapere perché ora il Perù è in queste condizioni e capire meglio quello che ho poi visto dal vivo. 

I giorni a Lima sono stati strani, quasi surreali. Abbiamo camminato per Miraflores, quartiere molto ricco della città, e poi attraversato alcune periferie. Posti completamente opposti eppure così vicini, non è stato un caso che alla prima condivisione molti di noi abbiano scelto la parola contrasti per esprimere cosa avevano provato/sentito. Conoscere Maruja e Daniela, ascoltare i loro racconti e vedere una parte del loro progetto è stato emozionante e di grande impatto. Ho camminato per la periferia di Lima Vanessa, ho visto con i miei occhi la cruda realtà, che però mi ha permesso di capire da dove vengono i ragazzi che vengono aiutati e accompagnati da Maruja; questo per quanto difficile da accettare mi ha aiutata a comprendere davvero quante poche possibilità ci siano per loro. Maruja e il suo team lavorano con e per gli ultimi degli ultimi della società, ragazzi che non vengono abbandonati dal governo, non curati dalle famiglie perché “troppo problematici” ma che, grazie a questi percorsi, riacquistano dignità e speranza. Respirare la loro determinazione e la loro forza è stato un grande regalo.


Siamo poi finalmente arrivati al Caef, questo posto tanto immaginato e che non vedevo l’ora di vivere. Dove i ragazzi mi hanno rubato un pezzetto di cuore; mi ero ripromessa di entrare in relazione con loro lentamente, per capire quale distanza mettere e come comportarmi e invece mi hanno travolta come un fiume in piena, inondandomi di amore. 

Già dal primo momento, quando ancora non parlavo mezza parola di spagnolo, B si è seduta tra me e Eli e si è messa a parlarci a macchinetta, raccontandoci non so cosa (perché non capivo) come se ci conoscessimo da sempre. E dal quel momento è stato tutto un crescendo.

Stare con loro tre settimane mi ha permesso di mettermi in gioco a tutto tondo, di osservare i loro cambiamenti, le altalene delle loro emozioni e di provare a capire qual era il modo migliore per prenderli, ovviamente non sempre funzionava. Cosa legava tutti e tutte però? Il gioco! 
Dalle canzoni iniziali a quelle per richiamare l’attenzione, passando per Sonic e il gioco simbolico, inventandosi storie e sfide affinchè mangiassero tutto e ovviamente il fantastico campo a lado, grazie al quale tutti e tutte si sono divertiti un sacco e sfogati in modo costruttivo e positivo.  

Riprendo le parole di uno di noi, perché mi hanno colpita e le ho trovate molto significative. Mi porto a casa i loro sguardi, profondi come l’oceano e pieni come un fiume in primavera. 

Mi porto a casa gli occhi di G, troppo timida per chiedere, ma uno sguardo curioso e avido di sapere. 

Mi porto a casa gli occhi di E, che quando si arrabbiava si perdeva in chissà quali ricordi.

Mi porto a casa gli occhi e gli occhiali di N, troppo spesso rotti per aiutarla a vedere davvero.

Mi porto a casa gli occhi furbetti di A, si muovevano velocissimi ma avevano un gran bisogno di amore.

Mi porto gli occhioni di C, si chiudevano sempre intorno alle 17 di pomeriggio, ma non c’era verso di fargli fare il riposino dopo pranzo. 

Mi porto a casa gli occhi di B, che urlava a gran voce e faceva un sacco di rumore, ma in realtà chiedeva calma e serenità.

Mi porto a casa gli occhi di M, che sfidava e provocava ma il cui sguardo chiedeva pazienza e amore. 

Mi porto a casa gli occhi dolci di A, che diventavano fessurine per riuscire a leggere tutte le parole nuove.

Questo è solo un piccolo elenco di cosa mi porto a casa, per scoprire il resto non vi basta che iscrivervi al prossimo campo!


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