Diego Usai

Dopo lo spettacolo di accoglienza sento una mano che stringe la mia, mi giro e vedo un bambino che sorride e mi chiede: «Come ti chiami?»

gli rispondo «Diego e tu?»

mi risponde «io Renzo… mi prendi in braccio?»

È da questo momento che inizia il mio campo di servizio in Perù, con un bambino che non avevo mai visto prima ma che già mi aveva fatto sentire accolto a casa sua.

La cosa che più mi ha colpito i primi giorni di campo sono stati proprio l’accoglienza e la voglia di stare insieme dei bambini del Caef. Non si stancavano mai di insegnarci giochi e canzoni e ci regalavano tanti sorrisi e tanti abbracci talvolta inaspettati e altre volte desiderati.

Le tre settimane di campo sono state dedicate al lavoro con i bimbi: attraverso lezioni di supporto scolastico e attività ludiche e ricreative. Ma non solo: infatti una parte del gruppo si è occupato del progetto “Compartir” che sostiene durante tutto l’anno le famiglie svantaggiate della Campiña e fornisce loro alimenti e sostegno genitoriale. Inoltre, ci siamo resi utili per portare avanti dei lavori di restauro della casa.

Le giornate al Caef passavano molto velocemente, dopo il momento di riflessione sui brani e sulla vita di Don Milani iniziavano subito i lavori per gruppi con i bambini. Ai Pequenos sono state proposte soprattutto attività ludiche e di iniziazione alla vita scolastica. I mediani, con il nostro supporto facevano i compiti assegnati a scuola e partecipavano a laboratori ed esperimenti. Mentre le ragazze più grandi, oltre allo studio pomeridiano hanno portato avanti un progetto sulle emozioni.

Durante il campo mi è capitato diverse volte di sentirmi al posto giusto nel momento giusto, momenti in cui non desideravo altro che stare insieme ai bambini e giocare per ore intere senza sentirne la stanchezza, momenti in cui mi rendevo conto che quello che stavo ricevendo era molto di più di quello che stavo donando, e momenti in cui il cuore batteva forte perché percepivo la volontà di riscatto di questi bambini.

Allo stesso tempo non sono mancanti i momenti di frustrazione, di incomprensione verso una cultura e un modo di pensare troppo diverso dal nostro, di rabbia verso le ingiustizie che hanno subito questi bambini e di domande a cui non so darmi una risposta.

La vita di gruppo in queste situazioni mi ha aiutato a riflettere, a rileggere le situazioni vissute e a superare le difficoltà con cui mi sono scontrato.

Non meno importante è stata la difficoltà nel comunicare, non conoscendo lo spagnolo, nel primo periodo ho avuto la sensazione di non poter beneficiare dei tanti discorsi delle direttrici del Caef ma soprattutto di restare escluso nelle chiacchierate e nelle dinamiche con i bambini, ma con i più piccoli ho appreso fin da subito quello che io chiamo “il linguaggio universale del gioco” che non si articola in grandi discorsi e rigide regole, ma basta uno sguardo e un cenno d’intesa che subito scatta la scintilla che ti permette di giocare insieme a loro e di beneficiare delle loro risate, capaci di toccare le corde più intime del cuore.

I bambini ti spingono a fare un tuffo nel passato per riscoprire quelle emozioni che solo negli anni della fanciullezza ho provato, e pretendono che ci si svesta di tutti i pregiudizi, i comportamenti e gli stati d’umore tipici di noi adulti e ci abbandonassimo alla meraviglia di passare del tempo prezioso con loro. Il bene che quei 20 bambini sono in grado di donarti mi ha fatto rendere conto di quanto loro stessi siano un esempio per noi volontari, perché nonostante i loro vissuti riescono a emozionarsi, a ringraziare, a lottare per riprendersi il loro futuro e dimostrare a tutti che meritano una seconda possibilità.

Nelle tre settimane di campo mi sono reso conto di quanto sia indispensabile il servizio dei volontari al Caef, ognuno di noi è stato capace di farsi travolgere dalla forza che è presente in quella casa e ha messo a disposizione le proprie competenze per renderlo un posto migliore. Come ama dire Judith: “nel mese di agosto si compiono dei miracoli in questa casa”, sono convinto che il tempo passato assieme sia stato fruttuoso sia per i bambini che per noi volontari.

Un amico mi ha chiesto cosa fosse rimasto di Diego al campo, questa è una delle domande a cui non so dare una risposta ma sono certo di cosa sia rimasto del campo a Diego.

Posso affermare con certezza che la quantità d’amore che è presente in quella casa è direttamente proporzionale alla quantità di sorrisi, baci e abbracci che si danno e si ricevono. I bambini dai più piccoli ai più grandi sono in grado di regalarti delle emozioni a te sconosciute che ti fanno sentire la persona più fortunata del mondo.  

 


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