Dia 6

Oggi la giornata é iniziata un po’ male, nel cuore della notte mi sono svegliato (approssimativamente erano le 4 e mezza del mattino) perché sentivo dei rumori molto strani che mi disturbavano il sonno. Mi sono alzato un attimo dal letto, frastornato dal baccano, e ho realizzato che c’erano dei galli che cantavano in modo molto fastidioso. Sono rimasto in piedi qualche secondo, poi mi sono rimesso a dormire. Sono gli inconvenienti del campo, anche queste cose mi hanno fatto capire che non posso sempre pretendere di trovarmi nel mio posto comodo e sicuro. Bisogna trovare dei compromessi.


Finalmente inizia la giornata, mi sveglio alle 7, anzi mi risveglio, mi lavo i denti e faccio un po’ di piegamenti sulle braccia e squat per tenermi un po’ in forma.

Alle 8:30 facciamo colazione, con pane e marmellata, ma soprattutto con il caffè, il miglior caffè in assoluto, il caffè Alberto che mi ha fatto portare mio padre, e che me lo fa sentire vicino, anche dall’altra parte del mondo (consiglio: provatelo).


 Successivamente abbiamo fatto una riunione deve ci è stato detto come sarebbero state strutturate le giornate durante il campo, dopo sono arrivate Mari, che è la direttrice del Caef, e Vanesa, la psicologa, e ci hanno fatto una lunga spiegazione sulla storia di questi bambini. Tra le tante cose che mi hanno colpito, c’è stato il momento in cui ci hanno spiegato del lavoro che fanno gli educatori nei confronti di questi bambini, ci hanno detto che questi bambini arrivano spesso da contesti familiari difficili, e che nella casa famiglia li educano affinché questi loro sentimenti di rabbia a mancanza si plachino. Il loro intento è donare un nuovo futuro a questi bambini, e questo è davvero bello.


Ci hanno raccontato una cosa molto curiosa che mi ha colpito: il modo in cui loro non dicono mai direttamente “no” ai bambini, ma usano dei metodi per fargli fare quello che vogliono senza dire “no”, e allo stesso tempo senza imporgli nulla. Per esempio, se un bambino deve prendere un medicinale e  le educatrici gli dicono “devi prendere il medicinale” lui si rifiuta, perciò optano per altre soluzioni: invece di mettere un’imposizione, chiedono se preferisce prenderlo il mattino o la sera, ed in questo modo il bambino ha la possibilità di sciegliere, e non si sente obbligato.


Dopo la formazione ci siamo messi a ballare e giocare coi bambini, e dopo mezzoretta abbiamo fatto la messa seduti su sedie e cuscini, all’ingresso. Durante la messa Padre Viano ha chiesto ad un bambino:

“Per chi preghi?” e lui ha risposto:

“Per gli italiani che mi fanno sentire all’interno di una famiglia”

e poi successivamente alla domanda:

“E tu cosa vuoi?”

lui ha risposto:

“Due genitori che mi amino ed una famiglia”, questa frase credo che la ricorderò per tutta la vita.


Al pomeriggio la maggior parte del gruppo doveva andare a vedere la “Huaca”, un sito archeologico famoso nella Campinña de Moche, però era chiusa perché la prima domenica del mese chiude alle 2, e purtroppo loro sono andati precisamente alle 3, e trovando il posto chiuso sono andati a vedere delle statue rosse, e poi sono tornati.



Io invece assieme a Padre Viano e a Simone ho giocato un’oretta a pallone coi bambini.

Alle 4 circa sono andato con dei volontari (Francesca, Simone e anche Padre Viano) a comprare del materiale all’ingrosso per il campo, come scope, detersivo ecc.

Tornati al Caef abbiamo giocato un po’ con i bambini ed E. ad un certo punto mi ha abbracciato dicendomi “te quiero” e devo dire che mi ha fatto un certo effetto.


Inizia a farsi scuro il cielo ed è ora di cena, tutti e 21 saliamo su un pulmino minuscolo e ci facciamo portare nel centro di Trujillo, tra risate e lamenti (per via del poco spazio e della scomodità) arriviamo e mangiamo tutti insieme in un ristorante tipico, dove tra l’altro avevamo mangiato la sera prima. Dopo mangiato abbiamo chiamato i taxi per tornare al CAEF e la giornata si è conclusa. 


Oggi ho capito che capiamo il concetto di comunità e condivisione anche grazie a cose fastidiose e inaspettate, non c’è niente da buttare. Ormai abbiamo conosciuto i bambini, e sto iniziando a capire quello che gli manca, e a chiedermi cosa possiamo riuscire a dargli noi, anche se non possiamo colmare quelle lacune che hanno. Possiamo farlo tornare più allegri, però. Non è compito nostro curare la cicatrice che hanno, ci sono persone specializzate per quello. Ma è compito nostro renderci utili per loro dove possibile, e stargli vicino.


Iacopo, 17 anni, 1 campo

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