Dia 21

In silenzio 

Sono Sara, ho 24 anni e questa è la mia prima volta in Perù. Ormai siamo qui da 3 settimane e mi sembra di vivere qui da un sacco.

Stanotte ho fatto un sogno: ero tornata in Italia. Svegliandomi e accorgendomi di essere ancora qui ho sorriso felice, a quel punto la giornata poteva iniziare bene. Sono stanca, è vero, ma mi sento a casa.

In questi giorni le zanzare del Perù e le loro punture infette mi stanno facendo patire un po’ ma dopo le giuste medicine mi sono lanciata anche oggi nella routine della Casa de Tuty: riflessione mattutina con i miei compagni, colazione con pane e marmellata (con i bimbi che come gattini si avvicinano per rubacchiarci qualcosina anche loro) e si parte con i rote e le attività. 

La mattina è sempre tranquilla perché la maggior parte dei bambini è a scuola ed è bellissimo portarli e andarli a prendere vedendoli impazzire di felicità.

Qui alla casa de Tuty il talento di ciascun volontario viene valorizzato e messo al servizio per migliorare la vita dei bambini: oggi ad esempio alcuni di noi si sono messi a costruire delle porte per la casa. Il contributo, anche solo fisico, che possiamo dare qui è una cosa che mi fa molto emozionare.

Noi del gruppo formazione, durante la giornata, abbiamo proposto ai bimbi di creare un collage sul proprio albero dell’”amistad” con le radici, il tronco e la chioma, individuando queste parti importanti, secondo loro, nell’amicizia.

Di sera, come alla fine di ogni giorno, c’è stata la condivisione tra noi volontari e quando padrecito ci ha chiesto di trasformare la nostra giornata in una canzone, io ho scelto “il silenzio”. Questo perché per tutta la giornata, qui nella casa, regna la confusione, l’entusiasmo, le strilla e i saltelli dei bimbi che corrono e giocano, mentre, quando chiudiamo la porta del salon e iniziamo l’attività di formazione con i ragazzi più grandi, cala un silenzio di pace e introspezione che fa tanto tanto rumore nel cuore.

Abbiamo scelto di parlare di amicizia perché qualche giorno fa ci hanno chiesto “come si fa a trovare un buon amico?” confidandoci i loro dolori da ragazzi rimasti male in amicizia. Io devo dire che sono un po’ caduta dalle nuvole vedendoli tirar fuori questo tema: è facile vederli come ragazzi che hanno sofferto l’indicibile e dimenticarsi che sono anche bambini con sofferenze proprie di tutti: gli amici che tradiscono, la fiducia che si perde e la voglia di non essere soli.

Di questa giornata mi porto, quindi, questo silenzio e i tanti sguardi.

Gli sguardi che sto ricevendo in dono qui in Perù, dai bambini, dalle persone per strada, dai miei compagni, mi parlano tanto. Non penso me li dimenticherò mai.




Come una danza

Questa giornata ha preso la forma di un balletto su musica classica.
Ma non immaginatevi una scena lenta e contemplativa, da film francese con la pioggia sui vetri e una tazza di tè tra le mani. No no. La danza classica, come la musica che la guida, è fatta anche di scatti improvvisi, di gesti tesi e violenti, di giri vorticosi e corpi che cercano l’equilibrio nel caos. Ecco, oggi è più un assolo agitato che un passo a due armonioso.

Tra architetti che progettano e costruiscono porte, bambini che gridano “¡Ay profe, no quiero hacer tarea!”, e i soliti cambi di programma all’ultimo secondo, ho stranamente trovato dei momenti di pace.

Come stamattina quando Y., una bimba tutta guance di 3 anni, mentre la accompagnavo a scuola, si è messa a contare i cetrioli nel campo. Occhi meravigliati. “Mira un pepino, un otro pepino”. E io lì, accanto a lei, a ridere e contare come se fosse la cosa più importante del mondo (e forse lo era, in quel momento).

O come quando L., una ragazza di 22 anni con disabilità intellettiva, mi ha chiesto di disegnarle un cuore grande sul quaderno. Poi, uno per uno, abbiamo scritto insieme i nomi dei suoi amici. Lettera per lettera, un piccolo trionfo.

O ancora quando Vanessa, la psicologa del CAEF, mi ha chiesto: “Come stai?”
Ma non per cortesia, non per riempire un silenzio. Lo ha chiesto con presenza, e quella domanda ha risuonato forte in me.

O come quando Sara, volontaria e amica, durante la pausa post pranzo ha tirato fuori una sfilza di indovinelli e il tutto è finito in una battaglia di solletico.

E ora eccomi qui, a scrivere questo blog da una stanzetta che è diventata una specie di rifugio condiviso. Intorno a me, chi scrive in silenzio, chi dorme con la bocca aperta, e in sottofondo una musica pensata per raccogliere i pensieri.

Nella riflessione di stamattina ci siamo chiesti: “In questi giorni, oltre i rumori e le tante persone che mi girano intorno, sto sperimentando la bellezza delle relazioni e mi sto facendo vicino a chi è più in disparte?”

Scrivendo ora, con la giornata ancora addosso, sento che ci sto provando.

Anna Pa, 26 anni, prima volta in Perù 



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