Dia 16 – Un viaggio per riportarci a Casa

Se non siete nuovi da queste parti, vi è sicuramente capitato più volte di leggere la parola “casa” in riferimento al Caef. Nei miei cinque anni come volontaria della Compagnia del Perù ho sentito chiamare quel posto prevalentemente così e per moltissime e moltissimi che sono passati di lì, anche solo per un campo, Judith non è la direttrice della Casa de Tuty, ma è “Mami Judith”.

Devo ammettere che per molto tutto questo mi è sembrato strano: io faccio fatica a sentirmi “a casa” anche quando sono nel posto nel quale sono nata, cresciuta e nel quale vivo tutt’ora con la mia famiglia e chiamare “casa” un posto dall’altra parte del mondo, dove trascorri un mese all’anno, ogni volta con persone diverse, per me era un qualcosa di incredibile.

La prima volta che ho messo piede al Caef era sera, sono entrata dalla porta e sono stata immediatamente accolta con un calore immenso. Mi sono seduta per terra e, nell’attesa che iniziasse lo spettacolino di benvenuto che i bimbi ci avevano preparato, mi guardavo intorno. C’era la luna alta sopra le nostre teste e un albero disegnato sul muro alla nostra destra. C’erano lacrime di gioia sui volti dei ragazzi che in quel posto ci erano già stati; c’era curiosità in chi, come me, metteva piede per la prima volta dentro quella casa; c’era amore, un amore percepibile e coinvolgente, che ha riempito completamente tutto ciò che c’era dentro e fuori di me; c’erano i brividi nel mio corpo, gli stessi che ci sono ora che ripenso a quel momento.

Mi è stato rimproverato molte volte di non aver mai raccontato in modo esaustivo quello che vivo e ho vissuto al Caef: sono sempre troppo vaga, troppo sintetica, troppo persa nel mondo che si fa strada nella mia testa quando ritorno, anche se solo con i pensieri, in quella casa. Foto ne mostro e ne ho mostrate poche, gli avvenimenti che racconto sono sempre i soliti e tutto quello che riesco a dire è che quel posto mi è entrato talmente tanto dentro che non vedo l’ora di tornare, ancora e ancora. Sempre tornando al “se non siete nuovi da queste parti”, Ambra nel suo blog dell’altro giorno parlava di “dipendenza da Caef”.

Ecco, è proprio così. La Casa de Tuty crea davvero dipendenza: una dipendenza dell’anima, per quel che mi riguarda. Marilisa scriveva che il Caef ed i bambini che lo abitano le hanno permesso, con le loro domande e le loro curiosità, di fare un viaggio dentro sé stessa. Anche questa è una cosa che è capitata anche a me: mi sono completamente persa e poi completamente ritrovata durante i diversi campi e anche ora, con questa distanza della quale non percepisco una fine, sento che sto compiendo un viaggio.

In questi ultimi due anni, purtroppo, il viaggio che il Caef mi ha permesso di compiere è stato “solo” dentro di me: alla ricerca di un’idea per incontrare comunque i bimbi, lo scorso anno, dalla quale poi è nato “agosto en octubre”, e quello alla ricerca del mio legame con la Casa de Tuty in questi mesi.

È più un viaggio alla ricerca del significato della parola “casa” probabilmente. Abbiamo passato tutti tantissimo tempo a casa in questi ultimi due anni, ma io comunque fatico a definire cosa è “casa” per me.

Con Nicoletta, incredibile compagna di viaggio, abbiamo deciso di mostrare ai bimbi del Caef la “nostra” città, Milano. 

Abbiamo fatto un giro per i suoi luoghi più importanti e significativi: il Castello Sforzesco, Parco Sempione, i navigli e ovviamente il Duomo, ripercorrendo la storia della sua costruzione.

Siamo partite dall’ippovia, utilizzata per il trasporto del marmo da Candoglia (prima su acqua e poi con i cavalli) necessario per la costruzione della chiesa.

Abbiamo percorso il naviglio grande e i tratti ormai interrati dove fino a 100 anni fa scorreva l’acqua; fino a via Laghetto, vicinissima al Duomo, dove i Navigli terminavano, il marmo prendeva finalmente forma e veniva collocato sulla cattedrale.

Ai ragazzi più grandi abbiamo proposto di costruire il loro duomo, partendo da un modello componibile: sono stati bravissimi!

Ai bimbi piccoli invece è spettato il compito di decorarlo, riproducendo i “peducci”, particolari decorazioni che adornano la base delle guglie, utilizzando la pasta di sale.

Abbiamo provato, con immagini, racconti ed attività, a far fare loro un viaggio dentro la città.

Pensare e preparare questa attività ha permesso anche a me di proseguire con il mio viaggio, che ha una duplice direzione: una verso la maggiore scoperta del posto nel quale vivo, l’altra verso il ritorno (che spero possa essere presto anche fisico) nel posto dove il mio cuore ha trovato la sua culla.

Un unico viaggio che, forse, mi porterà a casa.

Ginevra, Casorate Sempione

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